Il bilancio di sostenibilità è un documento attraverso il quale un’impresa, un ente o un’organizzazione comunica in modo trasparente gli impatti ambientali, sociali ed economici delle proprie attività. Non si limita a riportare dati finanziari, ma integra informazioni su temi come il consumo di risorse, le emissioni di CO₂, le condizioni di lavoro, le politiche di inclusione, i rapporti con la comunità e gli obiettivi futuri legati allo sviluppo sostenibile. In questo modo, il bilancio di sostenibilità diventa uno strumento di rendicontazione e dialogo con stakeholder, investitori e cittadini, dimostrando l’impegno dell’organizzazione nel creare valore non solo economico, ma anche sociale e ambientale.
Ogni tanto la sostenibilità aziendale sembra un concetto astratto, ma il bilancio di sostenibilità è qualcosa di concreto, con regole precise. In Europa, l’obbligo è graduale: già dal 2014 la Direttiva NFRD imponeva che certe grandi imprese comunicassero aspetti ambientali, sociali e di governance. A partire dal 1º gennaio 2017 le aziende con più di 500 dipendenti dovevano iniziare a conformarsi.
Oggi, grazie alla più recente direttiva CSRD, entrata in vigore nel 2023, i criteri si sono estesi. Le aziende che superano almeno due dei seguenti limiti: 250 dipendenti, 50 milioni di ricavi o 20 milioni di attivo, saranno obbligate a redigere il bilancio da gennaio 2025, per pubblicarlo con i dati del 2026. Progressivamente, anche le PMI quotate e le società extra-UE con fatturato rilevante in Europa sono coinvolte.
In sostanza: il momento è già arrivato. Così facendo, l’Europa punta a coinvolgere decine di migliaia di aziende.
Può sembrare una formalità, ma redigere questo report è un’operazione complessa che richiede competenze specifiche, sia tecniche che strategiche. Il documento può essere redatto da una figura interna, se l’azienda dispone di un profilo esperto in sostenibilità, oppure affidato a consulenti esterni qualificati.
Spesso è una persona con formazione specialistica, in grado di padroneggiare framework come i GRI Standards o gli ESRS, e capace di comprendere la mission dell’impresa e trasformarla in dati chiari, credibili e utili.
Per capire perché fare il bilancio di sostenibilità non è una scelta gratuita, basta considerare i suoi pilastri essenziali, che riflettono la triplice dimensione ESG, con un focus strategico:
Ambientale: misura l’impatto su risorse naturali, emissioni, biodiversità.
Sociale: valuta benessere dei lavoratori, inclusione, diritti umani.
Governance: riguarda trasparenza, etica, controllo.
A questi tre si aggiunge una dimensione strategica: il valore generato nel tempo. Ogni bilancio efficace racconta la storia di un’azienda che non guarda solo ai profitti, ma considera le conseguenze delle proprie scelte, sul territorio e sulla reputazione.
Per molte aziende il bilancio è ormai inevitabile, ma non sempre piace. Eppure, chi decide di anticiparlo rispetto alla normativa scopre che non è solo un obbligo:
Ma esiste anche chi procrastina: la complessità, i costi iniziali, la paura di esporsi possono scoraggiare. Tuttavia, non adeguarsi oggi significa rischiare sanzioni e trovarsi impreparati verso il mercato.
Sì, funzionano… se fatti bene. Non basta raccogliere dati e presentarli in un PDF patinato: serve credibilità, standardizzazione e verifica indipendente. Un bilancio di sostenibilità efficace nasce da un’analisi approfondita, dalla raccolta di indicatori misurabili e dalla capacità di tradurre numeri in azioni concrete. Il rischio reale è il greenwashing, quando le dichiarazioni di sostenibilità restano vaghe, difficili da verificare e spesso scollegate dalle attività quotidiane dell’impresa.
Abbiamo già spiegato su Abouthat come il Green Deal e le direttive europee abbiano imposto criteri più rigorosi per evitare “reporting cosmetici”. Oggi, con l’introduzione degli standard ESG (Environmental, Social, Governance) e l’obbligo di revisione esterna in molti settori, il bilancio di sostenibilità diventa uno strumento strategico. Non serve solo a comunicare valori, ma a migliorare processi, attrarre investitori, ridurre rischi e creare fiducia con clienti e comunità. Se usato con rigore, diventa una bussola per orientare scelte aziendali e verificare i progressi reali verso obiettivi di lungo periodo.
In paesi come l’Italia, aziende di medie dimensioni hanno iniziato a redigere il bilancio di sostenibilità per attrarre investitori, nelle regioni che puntano su turismo responsabile o produzioni locali a basso impatto.
In Germania, dove la regolamentazione è già avanzata, molte aziende integrano il bilancio ESG nel marketing e nelle relazioni sindacali, usandolo come strumento di innovazione interna. In Francia, alcuni brand usano il bilancio per costruire fiducia verso i consumatori attenti.
Assolutamente sì, ma solo se è: integrato, strategico e trasparente. Deve essere concettualmente e formalmente integrato nella strategia aziendale, non vissuto come un costo o un adempimento burocratico.
Un buon bilancio di sostenibilità mostra dove si può migliorare e come evolvere, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali e rendendo pluriennale l’attenzione agli impatti reali.
Il bilancio di sostenibilità è molto più di un documento obbligatorio: è la voce dell’azienda che racconta il suo rapporto con l’ambiente, la società e il proprio modello di governance nel lungo termine.
Redigerlo seriamente significa mettere l’impatto al centro, trasformando l’obbligo normativo in un’opportunità concreta di crescita, resilienza e leadership sostenibile.
In un contesto dove clienti, investitori e istituzioni chiedono sempre più trasparenza, le imprese che sapranno affermare la loro credibilità vinceranno. La sostenibilità diventa non una limitazione, ma un catalizzatore di valore.
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