Ex Ilva oggi: cosa sta succedendo e perché il suo futuro decide industria, ambiente e lavoro in Italia

Giulia Tripaldi
December 10, 2025
5 min read

A Taranto l’aria è di nuovo pesante, ma non solo per le polveri. Negli ultimi giorni il nome ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, è tornato con forza al centro del dibattito pubblico, politico e sociale. Annunci governativi, proteste dei lavoratori, tensioni tra territori e un nuovo fronte giudiziario hanno riaperto una ferita che in realtà non si è mai rimarginata.

Il punto non è soltanto capire se e come ripartirà uno stabilimento siderurgico. Il punto è più profondo: che tipo di industria vuole essere l’Italia nel pieno della transizione ecologica, e quale prezzo è disposta a pagare, in termini di ambiente, lavoro e salute.

Che cos’è oggi l’ex Ilva e perché è ancora un nodo irrisolto

Lo stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa, è da oltre dieci anni un caso emblematico di conflitto tra produzione industriale, diritto alla salute e responsabilità pubblica. Dopo il commissariamento, l’ingresso di ArcelorMittal e il successivo disimpegno del colosso franco-indiano, Acciaierie d’Italia è oggi controllata dallo Stato italiano attraverso Invitalia, in una fase di amministrazione straordinaria.

Nel 2025 l’impianto lavora ben al di sotto della sua capacità storica. Gli altoforni sono ridotti, la manutenzione è stata discontinua per anni e il futuro industriale rimane incerto. Tuttavia, il sito continua a essere considerato strategico non solo per Taranto, ma per l’intera filiera siderurgica nazionale, che dipende ancora in larga parte da acciaio prodotto sul territorio.

Cosa è successo nelle ultime settimane: la cronaca che riaccende il caso

All’inizio di dicembre 2025 il governo ha annunciato una mossa senza precedenti: una richiesta di risarcimento da 5 miliardi di euro nei confronti di ArcelorMittal. Secondo l’esecutivo, il precedente gestore avrebbe lasciato gli impianti in uno stato di degrado tale da compromettere sicurezza, produttività e valore industriale complessivo.

Contemporaneamente, il Ministero delle Imprese ha ribadito che non esiste un piano di chiusura degli stabilimenti, né a Taranto né negli altri siti collegati, come Genova Cornigliano. Proprio a Genova, dopo giorni di protesta e tensione, i sindacati hanno sospeso il presidio in seguito a rassicurazioni sulla continuità produttiva e occupazionale.

A Taranto, però, il clima è rimasto più teso. Le istituzioni locali hanno accolto con cautela gli annunci romani, sottolineando come troppe volte in passato promesse simili non si siano tradotte in cambiamenti concreti, soprattutto sul fronte ambientale e sanitario.

Perché il caso Ex Ilva non è solo una questione industriale

Ridurre l’ex Ilva a un problema aziendale significherebbe non coglierne la portata reale. Qui si intrecciano almeno tre dimensioni fondamentali.

La prima riguarda il lavoro. Migliaia di famiglie, tra diretto e indotto, dipendono ancora oggi dalla siderurgia. Ogni ipotesi di ridimensionamento o spezzettamento degli impianti ha conseguenze sociali enormi, specialmente in un territorio già fragile come quello tarantino.

La seconda dimensione è quella della salute pubblica. Studi epidemiologici e sentenze giudiziarie hanno documentato negli anni un eccesso di mortalità e malattie correlate all’inquinamento industriale. Per una parte significativa della cittadinanza, parlare di rilancio senza bonifiche reali equivale a rimuovere una verità scomoda.

La terza dimensione è politica e ambientale. L’Italia, come il resto d’Europa, si è impegnata formalmente nella decarbonizzazione e nella riduzione delle emissioni. La siderurgia tradizionale è uno dei settori più difficili da riconvertire. Il modo in cui verrà gestito il caso Ex Ilva dirà molto sulla credibilità di queste promesse.

È davvero possibile una riconversione “green” dell’ex Ilva?

Il tema della siderurgia verde è centrale nel dibattito attuale. Tecnologie come i forni elettrici ad arco, l’uso di preridotto e, in prospettiva, dell’idrogeno, vengono spesso citate come soluzioni. Tuttavia, queste trasformazioni richiedono investimenti enormi, tempi lunghi e un contesto energetico favorevole.

Nel caso di Taranto, la complessità è ancora maggiore. Non si tratta solo di installare nuovi impianti, ma di gestire una transizione senza interrompere la produzione e senza scaricare i costi sulle comunità locali. Per questo, molti osservatori sottolineano che la parola decarbonizzazione, se non accompagnata da atti verificabili, rischia di rimanere uno slogan.

Quali scenari si aprono ora per Acciaierie d’Italia

Nei prossimi mesi sarà decisiva la procedura di vendita degli asset di Acciaierie d’Italia. Le offerte arrivate sono numerose, ma solo poche riguardano l’intero perimetro industriale. Questo apre scenari molto diversi.

Un’acquisizione integrale con un piano industriale solido potrebbe garantire continuità produttiva e investimenti ambientali. Una vendita frammentata, invece, rischierebbe di spezzare l’unità del sistema, lasciando territori come Taranto con un’eredità industriale dimezzata e ancora irrisolta dal punto di vista ambientale.

Sul tavolo resta anche il ruolo dello Stato. Il 2025 ha segnato un ritorno forte dell’intervento pubblico, ma non è chiaro se si tratti di una fase transitoria o di una strategia di lungo periodo.

Perché l’ex Ilva riguarda tutti, anche chi è lontano da Taranto

Ex Ilva non è solo Taranto. È una cartina di tornasole per capire se l’Italia è in grado di affrontare la transizione ecologica senza scaricare i costi sempre sugli stessi. È un test di credibilità per la politica industriale, per la tutela del lavoro e per la capacità di mettere davvero al centro la salute delle persone.

Ignorare questa vicenda o liquidarla come un problema locale significa rinunciare a interrogarsi sul modello di sviluppo che stiamo costruendo. E significa accettare che ambiente, lavoro e diritti continuino a essere messi in competizione, invece di essere pensati insieme.

Il futuro dell’ex Ilva: una scelta che non può più essere rimandata

Il 2026 si avvicina e con esso decisioni che avranno effetti per decenni. Continuare a rimandare significa prolungare l’incertezza, alimentare conflitti sociali e perdere opportunità di innovazione reale.

Il futuro dell’ex Ilva non si misurerà solo in tonnellate di acciaio prodotte, ma nella capacità di trasformare un simbolo di crisi in una prova di maturità collettiva. Per l’industria, per l’ambiente e per la democrazia.

Giulia Tripaldi
December 10, 2025
5 min read