Negli ultimi anni la parola “inondazione” è diventata sempre più presente nelle ricerche degli italiani su Google. Un termine che non rimanda soltanto a immagini di fiumi esondati o strade sommerse dall’acqua, ma che racchiude paure, fragilità del territorio e l’urgenza di ripensare il rapporto con l’ambiente. Non a caso, l’Italia è tra i Paesi europei più vulnerabili al dissesto idrogeologico, con milioni di cittadini esposti a rischi concreti. Ma da cosa dipendono le inondazioni e come si collegano al cambiamento climatico e alla sostenibilità?
Secondo l’ultimo rapporto ISPRA 2024, oltre il 94% dei comuni italiani presenta aree classificate a rischio idrogeologico. Questo significa che quasi ogni comunità ha almeno una zona soggetta a frane o alluvioni.
Le regioni più vulnerabili sono l’Emilia-Romagna, la Liguria, il Veneto, la Toscana e la Lombardia, colpite negli ultimi anni da fenomeni estremi che hanno causato morti, danni miliardari e sfollamenti.
Un dato impressionante è quello delle città di pianura: a Ferrara, ad esempio, oltre il 40% del territorio è a elevato rischio inondazione, mentre in comuni costieri come Porto Tolle (Veneto) la percentuale sfiora il 41%.
Le inondazioni hanno sempre fatto parte della storia naturale dei territori, ma oggi i fenomeni sono resi più devastanti da una serie di concause:
Il risultato è che piogge che un tempo il territorio riusciva a “sopportare” oggi si trasformano facilmente in emergenze.
Il caso più emblematico resta l’alluvione dell’Emilia-Romagna del maggio 2023. In soli cinque giorni caddero quasi 500 mm di pioggia, l’equivalente di sei mesi di precipitazioni. I fiumi romagnoli – tra cui il Savio e il Lamone – ruppero gli argini, causando l’esondazione di oltre 20 corsi d’acqua.
Le conseguenze furono devastanti:
Questo evento ha acceso i riflettori sul ruolo del consumo di suolo: l’Emilia-Romagna è una delle regioni italiane con più territorio cementificato, il che ha reso le piogge torrenziali ancora più distruttive.
La scienza è chiara: il riscaldamento globale aumenta la probabilità di fenomeni estremi come le inondazioni. Le temperature più alte intensificano l’evaporazione e l’umidità atmosferica, portando a piogge più intense e concentrate.
In Italia, gli autunni e le primavere sono le stagioni più a rischio: basti pensare ai nubifragi che ogni anno colpiscono Liguria e Veneto, con vere e proprie “bombe d’acqua” che paralizzano intere città in poche ore.
Se da un lato le ondate di calore e la siccità minacciano l’agricoltura, dall’altro le piogge improvvise e violente rendono evidente il paradosso climatico: troppa poca acqua quando serve, troppa tutta insieme quando il terreno non può più assorbirla.
Parlare di sostenibilità significa anche affrontare il tema del dissesto idrogeologico. Le strategie per ridurre il rischio inondazioni passano da un mix di soluzioni:
Un esempio positivo è il progetto delle città spugna, già adottato in alcune metropoli asiatiche: quartieri progettati per assorbire l’acqua piovana attraverso parchi, tetti verdi e infrastrutture permeabili.
Il futuro dell’Italia sembra segnato da un aumento dei rischi:
Questo scenario impone un cambio di paradigma: non possiamo più limitarci a rincorrere l’emergenza, ma dobbiamo pianificare una resilienza strutturale e culturale.
Le inondazioni non sono solo un fatto meteorologico, ma il riflesso di un rapporto fragile tra uomo e territorio. Ogni volta che l’acqua rompe gli argini e invade le nostre città, ci ricorda che la sostenibilità non è un concetto astratto, ma una condizione necessaria per la sopravvivenza delle comunità.
Agire oggi significa ridurre cementificazione, proteggere il verde, investire in tecnologie e ripensare il nostro modo di abitare il territorio. Solo così l’Italia potrà affrontare un futuro in cui le inondazioni non saranno più emergenze straordinarie, ma eventi sempre più ordinari.
Fonti: