Vestiti di frutta e verdura? L’idea visionaria di di Studio Evaporer

Giulia Tripaldi
October 23, 2025
5 min read

Non è un brand di lusso, né un colosso dell’industria: Romane Poret è ancora una studentessa di design, ma ha già attirato l’attenzione del mondo della moda sostenibile.
Con il suo progetto Studio Evaporer sta trasformando scarti di frutta e verdura in materiali morbidi, flessibili e completamente biodegradabili, dimostrando che la creatività può nascere da ciò che tutti gli altri scartano.

È il tipo di gesto che racconta molto della sua generazione: dove il mondo adulto vede rifiuti, lei vede materia prima e futuro. Cresciuta in un mondo dove la sostenibilità non è più una “materia facoltativa”, ma parte integrante della formazione, Romane appartiene a quella nuova ondata di designer che considerano l’impatto ambientale un elemento centrale del progetto creativo, non un’aggiunta finale.

Dal cestino alla passerella

Tutto parte da ciò che di solito finisce nei rifiuti organici: scorze di agrumi, bucce di barbabietole, foglie, torsoli di mela, polpa avanzata dalla spremitura.
Romane li raccoglie e li lavora nel suo laboratorio universitario come fossero ingredienti per una ricetta speciale.

Solo che al posto di torte o smoothie, ne escono fogli sottili e flessibili: non tessuti classici, ma una sorta di biopelle vegetale, ottenuta estraendo cellulosa, pectina e fibre naturali dagli scarti.

Hanno colori naturali, sfumature irregolari, superfici che cambiano a seconda della luce. Alcuni sembrano carta cerata, altri seta traslucida, altri ancora cuoio morbido. Tutti sono compostabili e si decompongono senza lasciare microplastiche.

È un approccio tipico di una nuova ondata di designer molto giovani, cresciuti con una maggiore consapevolezza ambientale: non cercano solo di ridurre l’impatto della moda, ma di reinventarne completamente i materiali.

Moda o laboratorio scientifico?

Quello che fa Studio Evaporer sembra magia, ma ha una base scientifica precisa.
Il loro lavoro rientra nella nuova ondata di biodesign, una disciplina che unisce chimica dei materiali e design sostenibile. L’obiettivo è creare materiali alternativi usando risorse naturali o scarti, riducendo l’impatto ambientale della moda.

Oggi l’industria tessile è tra le più inquinanti al mondo: consuma acqua, energia, produce emissioni di CO₂ e miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno.
Partire da ciò che già esiste, come gli scarti vegetali, significa non consumare nuove risorse e allo stesso tempo dare nuova vita a qualcosa destinato allo spreco.

È la logica dell’economia circolare, ma con un’estetica completamente nuova.

Ma si possono davvero indossare?

La domanda è inevitabile: posso davvero mettermi addosso una giacca fatta di bucce?
La risposta, almeno per ora, è: sì, ma con attenzione.

I capi creati da Studio Evaporer sono ancora pezzi unici sperimentali, pensati più per le passerelle e le mostre che per la vita di tutti i giorni.
La resistenza all’acqua e all’usura è limitata, e richiede ulteriori studi per diventare davvero “indossabile quotidiano”.

Ma questa è proprio la fase più interessante: diversi laboratori europei stanno già lavorando su combinazioni tra bioplastiche vegetali e fibre naturali come lino, canapa o amido modificato, per rendere questi materiali più resistenti e lavabili senza perdere la biodegradabilità.

In pratica, oggi sono prototipi poetici, domani potrebbero diventare capi da portare davvero.

Un’estetica nuova, lontana dalla fast fashion

Una cosa però è già chiara: questi materiali non cercano di imitare quelli tradizionali.
Non sono “finti cotoni” o “pelli sintetiche”. Sono qualcosa di completamente diverso: hanno colori caldi, texture imperfette, bordi vivi.

E proprio questa diversità sta conquistando molti giovani designer.
In un mondo dominato da capi standardizzati e fast fashion, questi materiali raccontano storie: da dove vengono, come sono stati fatti, e soprattutto perché.

Indossarli significa portare addosso un pezzo di natura, con tutte le sue imperfezioni.
Non è solo moda, è una dichiarazione d’intenti: la bellezza può nascere anche da ciò che buttiamo via.

Perché tutto questo conta davvero

Ogni anno nel mondo si sprecano oltre un miliardo di tonnellate di cibo, mentre l’industria tessile produce quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra e rilascia milioni di microfibre inquinanti negli oceani.

La moda sostenibile non può limitarsi a ridurre un po’ i consumi: serve ripensare da zero i materiali.
E progetti come Studio Evaporer mostrano che è possibile farlo in modo creativo, accessibile e ispirante, senza aspettare soluzioni futuristiche lontane decenni.

Romane non si limita a denunciare lo spreco: lo trasforma.
Dove gli altri vedono scarti, lei vede possibilità. È questo il messaggio più potente: non serve avere grandi mezzi per cambiare le cose, serve uno sguardo nuovo.

Un seme piantato oggi

È probabile che ci vogliano ancora anni prima di vedere capi in frutta e verdura nei negozi, lavabili e resistenti come quelli attuali.
Ma ogni rivoluzione comincia così: con idee che all’inizio sembrano strane, e poi diventano ovvie.

E magari, tra qualche stagione, ci ritroveremo davvero a scegliere tra una giacca in cotone e una giacca in… mela.
Con la consapevolezza che la moda può essere bella anche quando nasce da ciò che buttiamo.

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Giulia Tripaldi
October 23, 2025
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