
Non è un brand di lusso, né un colosso dell’industria: Romane Poret è ancora una studentessa di design, ma ha già attirato l’attenzione del mondo della moda sostenibile.
Con il suo progetto Studio Evaporer sta trasformando scarti di frutta e verdura in materiali morbidi, flessibili e completamente biodegradabili, dimostrando che la creatività può nascere da ciò che tutti gli altri scartano.
È il tipo di gesto che racconta molto della sua generazione: dove il mondo adulto vede rifiuti, lei vede materia prima e futuro. Cresciuta in un mondo dove la sostenibilità non è più una “materia facoltativa”, ma parte integrante della formazione, Romane appartiene a quella nuova ondata di designer che considerano l’impatto ambientale un elemento centrale del progetto creativo, non un’aggiunta finale.
Tutto parte da ciò che di solito finisce nei rifiuti organici: scorze di agrumi, bucce di barbabietole, foglie, torsoli di mela, polpa avanzata dalla spremitura.
Romane li raccoglie e li lavora nel suo laboratorio universitario come fossero ingredienti per una ricetta speciale.
Solo che al posto di torte o smoothie, ne escono fogli sottili e flessibili: non tessuti classici, ma una sorta di biopelle vegetale, ottenuta estraendo cellulosa, pectina e fibre naturali dagli scarti.
Hanno colori naturali, sfumature irregolari, superfici che cambiano a seconda della luce. Alcuni sembrano carta cerata, altri seta traslucida, altri ancora cuoio morbido. Tutti sono compostabili e si decompongono senza lasciare microplastiche.
È un approccio tipico di una nuova ondata di designer molto giovani, cresciuti con una maggiore consapevolezza ambientale: non cercano solo di ridurre l’impatto della moda, ma di reinventarne completamente i materiali.
Quello che fa Studio Evaporer sembra magia, ma ha una base scientifica precisa.
Il loro lavoro rientra nella nuova ondata di biodesign, una disciplina che unisce chimica dei materiali e design sostenibile. L’obiettivo è creare materiali alternativi usando risorse naturali o scarti, riducendo l’impatto ambientale della moda.
Oggi l’industria tessile è tra le più inquinanti al mondo: consuma acqua, energia, produce emissioni di CO₂ e miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno.
Partire da ciò che già esiste, come gli scarti vegetali, significa non consumare nuove risorse e allo stesso tempo dare nuova vita a qualcosa destinato allo spreco.
È la logica dell’economia circolare, ma con un’estetica completamente nuova.
La domanda è inevitabile: posso davvero mettermi addosso una giacca fatta di bucce?
La risposta, almeno per ora, è: sì, ma con attenzione.

I capi creati da Studio Evaporer sono ancora pezzi unici sperimentali, pensati più per le passerelle e le mostre che per la vita di tutti i giorni.
La resistenza all’acqua e all’usura è limitata, e richiede ulteriori studi per diventare davvero “indossabile quotidiano”.
Ma questa è proprio la fase più interessante: diversi laboratori europei stanno già lavorando su combinazioni tra bioplastiche vegetali e fibre naturali come lino, canapa o amido modificato, per rendere questi materiali più resistenti e lavabili senza perdere la biodegradabilità.
In pratica, oggi sono prototipi poetici, domani potrebbero diventare capi da portare davvero.
Una cosa però è già chiara: questi materiali non cercano di imitare quelli tradizionali.
Non sono “finti cotoni” o “pelli sintetiche”. Sono qualcosa di completamente diverso: hanno colori caldi, texture imperfette, bordi vivi.
E proprio questa diversità sta conquistando molti giovani designer.
In un mondo dominato da capi standardizzati e fast fashion, questi materiali raccontano storie: da dove vengono, come sono stati fatti, e soprattutto perché.
Indossarli significa portare addosso un pezzo di natura, con tutte le sue imperfezioni.
Non è solo moda, è una dichiarazione d’intenti: la bellezza può nascere anche da ciò che buttiamo via.
Ogni anno nel mondo si sprecano oltre un miliardo di tonnellate di cibo, mentre l’industria tessile produce quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra e rilascia milioni di microfibre inquinanti negli oceani.
La moda sostenibile non può limitarsi a ridurre un po’ i consumi: serve ripensare da zero i materiali.
E progetti come Studio Evaporer mostrano che è possibile farlo in modo creativo, accessibile e ispirante, senza aspettare soluzioni futuristiche lontane decenni.
Romane non si limita a denunciare lo spreco: lo trasforma.
Dove gli altri vedono scarti, lei vede possibilità. È questo il messaggio più potente: non serve avere grandi mezzi per cambiare le cose, serve uno sguardo nuovo.
È probabile che ci vogliano ancora anni prima di vedere capi in frutta e verdura nei negozi, lavabili e resistenti come quelli attuali.
Ma ogni rivoluzione comincia così: con idee che all’inizio sembrano strane, e poi diventano ovvie.
E magari, tra qualche stagione, ci ritroveremo davvero a scegliere tra una giacca in cotone e una giacca in… mela.
Con la consapevolezza che la moda può essere bella anche quando nasce da ciò che buttiamo.






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