Nel 2013, durante una vacanza in Grecia, un ragazzo di diciotto anni si tuffò in mare aspettandosi di nuotare tra i pesci e l’acqua cristallina. Invece, si ritrovò circondato da bottiglie di plastica, reti abbandonate e frammenti galleggianti. Quel giorno, Boyan Slat capì che la plastica negli oceani non era un problema lontano o astratto: era reale, tangibile e inaccettabile. Mentre la maggior parte delle persone avrebbe archiviato la scena come “uno dei tanti segnali dei tempi”, lui decise che qualcosa andava fatto.
Quella nuotata è diventata l’aneddoto simbolo di una delle più ambiziose imprese ambientali del nostro tempo: ripulire gli oceani del mondo dalla plastica.
Boyan Slat nasce nel 1994 nei Paesi Bassi. Fin da bambino dimostra un’attitudine spiccata per la scienza e l’innovazione. A quattordici anni costruisce un razzo artigianale che batte un record nazionale. A diciotto, dopo quell’esperienza in mare, tiene una conferenza TEDx in cui presenta per la prima volta la sua idea: ripulire gli oceani utilizzando la forza delle correnti marine.
La conferenza si diffonde rapidamente online. Boyan, che all’epoca è uno studente di ingegneria aerospaziale, decide di abbandonare l’università per fondare The Ocean Cleanup, un’organizzazione non profit con l’obiettivo di affrontare in modo sistemico l’inquinamento da plastica.
Non è un attivista nel senso classico del termine. Non manifesta nelle piazze e non scrive manifesti politici. Boyan costruisce soluzioni tecnologiche. È un ingegnere visionario che ha scelto di affrontare uno dei problemi ambientali più complessi al mondo con pragmatismo e determinazione.
L’idea alla base di The Ocean Cleanup è semplice e al tempo stesso rivoluzionaria: se la plastica galleggia e si muove seguendo le correnti oceaniche, allora è possibile costruire un sistema passivo che intercetti e raccolga i rifiuti concentrati nelle cosiddette “garbage patches”, enormi accumuli di plastica sospesi tra le onde.
Il primo grande obiettivo è il Great Pacific Garbage Patch, un’area tra California e Hawaii dove si stima che galleggino milioni di tonnellate di plastica. Boyan e il suo team progettano un sistema modulare fatto di lunghe barriere galleggianti a forma di U che si muovono lentamente con le correnti. I rifiuti vengono convogliati al centro e raccolti, per poi essere trasportati sulla terraferma e avviati al riciclo.
Dopo anni di test, fallimenti iniziali e continue ottimizzazioni, nel 2021 il sistema “001/B” dimostra di poter raccogliere diverse tonnellate di plastica in pochi giorni. Oggi The Ocean Cleanup ha già rimosso oltre 12 milioni di chilogrammi di rifiuti dai mari e dai fiumi del mondo, con una flotta di sistemi operativi nel Pacifico e nei principali corsi d’acqua.
Un elemento chiave del progetto è l’espansione ai fiumi. Boyan capisce presto che bloccare la plastica alla fonte è più efficace che inseguirla in mare aperto. Nascono così gli “Interceptors”, strutture galleggianti automatizzate che raccolgono la plastica direttamente nei fiumi, prima che raggiunga l’oceano. Secondo The Ocean Cleanup, intercettare i rifiuti fluviali può ridurre l’apporto globale di plastica agli oceani fino all’80 per cento.
I materiali raccolti vengono poi riciclati per produrre nuovi oggetti, creando un ciclo virtuoso e comunicando un messaggio chiaro: la plastica non è solo rifiuto, ma una risorsa da gestire responsabilmente.
La forza di Boyan Slat non sta solo nella tecnologia, ma nella visione strategica. Non ha mai presentato The Ocean Cleanup come “la soluzione” al problema, ma come una parte della soluzione globale. Sa che la plastica negli oceani è un sintomo, non la causa: la vera battaglia si gioca su produzione, consumo e gestione dei rifiuti.
La sua strategia è duplice. Da un lato, ripulire quello che già c’è, mostrando al mondo che è possibile agire concretamente su scala globale. Dall’altro, spingere governi e industrie a cambiare i propri modelli produttivi. Ogni tonnellata di plastica raccolta diventa un messaggio politico e culturale: il problema non è troppo grande per essere affrontato.
Slat ha più volte dichiarato che l’obiettivo non è lavorare per sempre alla raccolta, ma chiudere l’attività entro poche decadi, una volta che l’inquinamento sarà ridotto alla radice. In altre parole, sogna di rendere inutile la propria stessa organizzazione.
La storia di Boyan Slat ha avuto un impatto globale perché restituisce agency, cioè la sensazione che si possa effettivamente fare qualcosa di concreto per cambiare il corso delle cose. Non è un discorso astratto o teorico: è un ragazzo che ha costruito un’idea, raccolto fondi e realizzato sistemi che oggi operano realmente in mare.
La sua impresa dimostra anche che l’innovazione sostenibile può essere attraente, mediatica e capace di coinvolgere il pubblico. The Ocean Cleanup è sostenuta da donatori, aziende e fondazioni internazionali, e comunica con una trasparenza che ha contribuito a creare fiducia.
Ogni video di raccolta della plastica, ogni container pieno di reti e bottiglie restituisce un’immagine chiara: le soluzioni esistono, ma vanno costruite con visione, tecnologia e collaborazione.
Il lavoro di Boyan Slat si inserisce in un contesto più ampio: quello della crisi ambientale globale. L’inquinamento da plastica è strettamente legato ad altri grandi temi come l’uso delle risorse fossili, l’emergenza climatica e la salute degli ecosistemi marini. Oltre 11 milioni di tonnellate di plastica entrano ogni anno negli oceani, frammentandosi in microplastiche che finiscono nella catena alimentare, nei pesci, nell’acqua e persino nel nostro sangue.
Affrontare questo problema significa agire su più fronti: produzione responsabile, gestione dei rifiuti, innovazione tecnologica e sensibilizzazione globale. La forza simbolica di The Ocean Cleanup sta nel mostrare che non serve essere una grande potenza per iniziare un cambiamento. A volte basta un’idea chiara, determinazione e la capacità di aggregare risorse.
Il successo del progetto ha anche spinto governi e aziende a rivedere le proprie strategie di riduzione della plastica. Alcuni Paesi hanno adottato misure più severe per limitare gli imballaggi monouso. Molte aziende hanno iniziato a investire in riciclo avanzato e materiali alternativi.
Boyan Slat rappresenta un archetipo di innovatore sostenibile. Non è un politico, non è un accademico, non è un influencer. È un giovane che ha costruito un ponte tra scienza e azione, tra ingegneria e comunicazione.
La sua storia racconta una verità fondamentale: le grandi sfide ambientali non si vincono solo con le buone intenzioni, ma con soluzioni che funzionano. Ed è proprio questo che rende la sua impresa così potente dal punto di vista comunicativo e culturale.
Un progetto come The Ocean Cleanup non risolve tutto, ma può innescare un cambiamento sistemico. In un’epoca in cui la sostenibilità rischia di diventare uno slogan, le storie come quella di Boyan riportano la discussione sul terreno concreto dell’innovazione e della responsabilità collettiva.
In tempi di crisi climatica e ambientale, è facile sentirsi impotenti. La storia di Boyan Slat ci ricorda che il cambiamento non è un concetto astratto, ma un insieme di azioni reali. Raccontare queste storie significa dare spazio a soluzioni che esistono già, a persone che scelgono di agire invece di attendere.
Un format dedicato a volti della sostenibilità non serve solo a ispirare, ma anche a mostrare possibilità concrete: dal recupero della plastica all’energia pulita, dalla rigenerazione urbana alla tutela della biodiversità. Boyan è solo uno dei tanti esempi di come l’innovazione possa nascere da un’idea semplice e crescere fino a cambiare il mondo.