Le food policy (politiche del cibo) rappresentano uno strumento essenziale per affrontare le sfide sociali, economiche e ambientali legate al cibo. Introdotte per la prima volta nelle città europee negli anni 2000, queste politiche si sono evolute per garantire un accesso equo, sostenibile e resiliente alle risorse alimentari, integrando l’intero ciclo del cibo: dalla produzione alla distribuzione, fino al consumo e allo smaltimento.
Una food policy è un insieme di strategie e interventi adottati da governi e comunità locali per promuovere sistemi alimentari più equi, accessibili e sostenibili. Nato come risposta alla frammentazione delle filiere alimentari e all’aumento degli sprechi, questo approccio considera il cibo non solo come una risorsa economica, ma anche come un diritto fondamentale e un elemento chiave per la sostenibilità ambientale. In particolare, le food policy non si limitano a combattere le disuguaglianze nell’accesso al cibo, ma sono anche uno strumento potente per ridurre l’impronta ecologica della produzione alimentare. Questo approccio ha preso piede in Europa con il Milan Urban Food Policy Pact (2015), un accordo globale che ha coinvolto oltre 200 città, promuovendo politiche alimentari integrate.
Le principali priorità identificate nelle food policy urbane possono essere riassunte così:
Le food policy non si limitano a regolare il mercato alimentare, ma mirano a ridisegnare il rapporto tra cibo e città attraverso:
Come evidenziato nel report Cibo, sostenibilità e territorio, l’integrazione delle politiche alimentari con la pianificazione urbana contribuisce non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche a una maggiore coesione sociale.
Le food policy non sono una bacchetta magica, ma rappresentano un tassello fondamentale per affrontare le sfide ambientali globali. Circa il 30% delle emissioni climalteranti mondiali è legato alla produzione e distribuzione del cibo, e le città – dove vive oltre il 55% della popolazione globale – giocano un ruolo decisivo nel ridurre questa impronta. Interventi come la riduzione degli sprechi alimentari, la promozione di agricoltura urbana e l’adozione di diete più sostenibili hanno un impatto concreto sia a livello locale sia globale.
Un dato emblematico: Milano, grazie alla sua Food Policy, ha ridotto lo spreco alimentare del 20% in cinque anni, mentre città senza una strategia strutturata – come Atene o Marsiglia – hanno registrato valori stabili o addirittura in crescita nello stesso periodo. A livello internazionale, New York ha inserito nelle mense scolastiche programmi “meatless” (giornate senza carne), riuscendo a tagliare circa 14.000 tonnellate di CO₂ l’anno, l’equivalente delle emissioni di oltre 3.000 automobili.
Questi confronti mostrano che, se ben applicate, le food policy non solo migliorano la qualità della vita dei cittadini, ma diventano anche un moltiplicatore di sostenibilità, capace di unire istituzioni, imprese e comunità verso un obiettivo comune: ripensare il rapporto tra uomo, ambiente e alimentazione.
In Italia, le food policy stanno diventando un pilastro centrale per la sostenibilità urbana e sociale. Milano, Bergamo e Torino sono esempi virtuosi di come le città possano utilizzare strategie alimentari per trasformare il rapporto tra cibo, cittadini e ambiente.
Milano, con il suo Milan Food Policy, ha ottenuto risultati concreti: nel 2022, il progetto ha ridotto lo spreco alimentare del 20%, creato 80 orti urbani e coinvolto oltre 15.000 studenti in programmi di educazione alimentare.
Bergamo ha puntato sull’agricoltura urbana e sull’aumento del cibo biologico nelle mense scolastiche, dove gli alimenti biologici rappresentano oggi il 65% del totale (dato aggiornato al 2024). La città ha inoltre attivato 30 orti urbani, con l’assegnazione di ulteriori 17 appezzamenti previsti per il 2024, e ha sensibilizzato circa 8.000 studenti sull’importanza di un’alimentazione sostenibile.
Torino si distingue per l’innovazione sociale legata al progetto #RePoPP, avviato nel mercato di Porta Palazzo. Il programma combina la ridistribuzione del cibo invenduto con l’integrazione sociale, coinvolgendo migranti e richiedenti asilo. Al momento, la città ha 25 orti urbani attivi, ha ridotto gli sprechi alimentari del 10% e ha educato circa 5.000 studenti attraverso iniziative locali.
Anche Roma sta muovendo i primi passi verso una food policy strutturata. Nonostante sia ancora in fase progettuale, sono state avviate iniziative interessanti come il recupero degli sprechi nei mercati rionali, la valorizzazione dell’agricoltura periurbana, con oltre 300 aziende coinvolte, e l’introduzione di programmi di educazione alimentare che hanno raggiunto 2.000 studenti nel 2023.
Queste città dimostrano che, nonostante le differenze nei contesti locali, le food policy condividono obiettivi comuni: garantire un accesso equo al cibo, ridurre gli sprechi e promuovere la sostenibilità ambientale.
Tabella riepilogativa
Le food policy non sono un fenomeno esclusivamente europeo. Già negli anni ’90 in Brasile si sperimentavano programmi di sicurezza alimentare, con il celebre progetto Fome Zero che mirava a combattere la fame attraverso politiche integrate di distribuzione e agricoltura familiare. Negli Stati Uniti, città come New York hanno sviluppato piani alimentari per garantire mense scolastiche più sane e ridurre l’obesità infantile, mentre Londra ha lanciato strategie urbane che uniscono salute pubblica e sostenibilità ambientale. Questi esempi mostrano come il modello delle food policy sia diventato globale, adattandosi alle sfide specifiche di ogni contesto urbano.
Le politiche del cibo si inseriscono a pieno titolo nel quadro degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. In particolare, le food policy contribuiscono a più traguardi: l’Obiettivo 2 (Sconfiggere la fame), l’Obiettivo 11 (Città e comunità sostenibili) e l’Obiettivo 12 (Consumo e produzione responsabili). Integrare la pianificazione alimentare con la sostenibilità urbana significa, in pratica, rendere le città luoghi capaci di garantire accesso al cibo per tutti, ridurre le emissioni legate al settore agroalimentare e promuovere un consumo più consapevole.
Oltre alla dimensione ambientale, le food policy hanno anche una forte ricaduta economica. Incentivare filiere corte e mercati locali significa sostenere le piccole aziende agricole e creare nuove opportunità di lavoro in ambito urbano. Non solo: una maggiore diffusione di cibo sano e sostenibile riduce i costi sanitari legati a malattie croniche come obesità e diabete, migliorando la qualità della vita dei cittadini. Le politiche del cibo diventano così un investimento a lungo termine, capace di coniugare salute pubblica, inclusione sociale e sviluppo locale.
Le food policy offrono una visione trasformativa del sistema alimentare, ma la loro implementazione richiede impegno politico, risorse economiche e una collaborazione attiva tra cittadini, amministrazioni e settore privato. Tuttavia, resta una domanda aperta: quanto possono davvero incidere queste politiche su sfide globali come i cambiamenti climatici e le disuguaglianze sociali? Se ben progettate e adattate ai contesti locali, le food policy possono diventare uno strumento di cambiamento non solo urbano, ma globale. Ma per farlo, è necessaria una visione integrata che consideri il cibo non solo come una necessità, ma come un diritto universale e un catalizzatore di sostenibilità. [i]
Fonti: