Il DDL Montagna 2025 è diventato Legge n. 131/2025 e introduce un quadro organico per il riconoscimento e la promozione delle zone montane in Italia. Non è una norma “di settore”: tocca scuole, sanità, servizi, sviluppo economico dei territori montani, tutela ambientale e gestione delle risorse naturali.
L’idea di fondo è chiara: le aree di montagna sono territori fragili e strategici per il clima, la biodiversità, l’acqua e le foreste; per questo lo Stato riconosce la montagna come interesse nazionale e introduce strumenti per ridurre gli squilibri con le aree di pianura, contrastare lo spopolamento e garantire servizi essenziali a chi vive in quota. All’interno di questa cornice, alcuni articoli incidono anche su temi molto dibattuti come i valichi montani e la caccia.
La legge stabilisce che lo sviluppo delle zone montane deve avvenire nel rispetto della sostenibilità. Questo significa:
Per realizzare questi obiettivi, la legge si appoggia al Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, che finanzia interventi ambientali, servizi e progetti contro lo spopolamento. In altre parole, non si tratta solo di nuove regole, ma anche di risorse concrete per rendere la montagna più vivibile e resiliente.
La legge lega la promozione delle aree montane alla tutela degli ecosistemi e alla lotta alla crisi climatica. Si parla di biodiversità, servizi ecosistemici, risorse idriche, suolo e foreste come asset strategici, e sono previste azioni di monitoraggio dei ghiacciai e dei bacini idrici.
Sono parole chiave che si traducono in progetti per misurare gli impatti del cambiamento climatico, gestire meglio l’acqua in un contesto di siccità e ridurre i rischi di frane e alluvioni. La montagna diventa così non solo un luogo da abitare o visitare, ma una vera infrastruttura naturale che garantisce stabilità climatica e qualità ambientale anche alle aree di pianura.
Il punto più discusso è la modifica alla legge 157/1992 sui valichi montani. Finora vigeva un divieto assoluto di caccia entro 1.000 metri da tutti i valichi interessati dalle rotte migratorie. Con la nuova legge, questo divieto non è più automatico.
La norma prevede che nei valichi con migrazioni rilevanti e uno stringimento orografico sopra i 1.000 metri di quota si istituiscano Zone di Protezione Speciale (ZPS). Qui l’attività venatoria sarà consentita solo entro limiti e condizioni stabiliti dalle Regioni, nel rispetto dei criteri minimi nazionali.
Tradotto: non è più “vietato ovunque e sempre”, ma “vietato dove serve davvero”. Una scelta che divide: per alcuni è un approccio più intelligente e mirato, per altri un arretramento delle tutele.
La legge affida ai Ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura il compito di individuare e cartografare i valichi da proteggere, con il supporto di ISPRA e del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale. Il termine è di 180 giorni dalla pubblicazione della legge.
Fino ad allora, le Regioni continuano a gestire i propri calendari venatori secondo le regole già in vigore, ma con l’obbligo di adeguarsi quando sarà emanato il decreto attuativo.
La Lombardia è stata tra le prime a muoversi, approvando una delibera che individua 23 valichi da sottoporre a disciplina venatoria. Un numero molto ridotto rispetto ai 475 valichi bloccati dopo le sentenze del TAR. Questo passaggio mostra chiaramente il nuovo approccio: meno divieti generalizzati, più selezione caso per caso.
È probabile che altre Regioni seguano la stessa strada nei prossimi mesi, creando un quadro differenziato sul territorio nazionale.
Il riferimento resta la Direttiva Uccelli e la rete Natura 2000, che impongono obblighi stringenti per la tutela dell’avifauna migratoria. Inserire i valichi nella logica delle ZPS significa, almeno in teoria, garantire che la protezione sia calibrata su dati scientifici e standard europei.
Il rischio, però, è che l’Italia venga contestata se la selezione dei valichi non sarà coerente con le evidenze scientifiche. È qui che la sostenibilità incontra la governance: non basta scrivere buone regole, serve applicarle con rigore.
La Legge 131/2025 è un’occasione per ridare centralità alla montagna, con un mix di misure sociali, economiche e ambientali. Può diventare un laboratorio di sostenibilità, dove la tutela della natura si unisce allo sviluppo delle comunità locali.
Il rischio è nella messa in pratica: se i decreti e le delibere saranno gestiti con superficialità, la promessa di una tutela mirata potrà trasformarsi in un indebolimento delle garanzie. La sfida è rendere la montagna un territorio dove biodiversità, comunità ed economia locale camminano insieme.
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