In Italia, le eco‑tasse esistono sulla carta, ma difficilmente vengono attuate. Negli ultimi anni, misure come la sugar tax e la plastic tax sono diventate simboli di una transizione ecologica continuamente annunciata ma sistematicamente rinviata. Nonostante gli obiettivi dichiarati — ridurre l’inquinamento, incentivare il riciclo e migliorare la salute pubblica — queste imposte vengono posticipate di anno in anno, spesso sotto pressione delle lobby industriali.
Cosa c’è dietro questi rinvii? Chi ci guadagna e chi ci perde? E perché in altri Paesi europei queste misure funzionano, mentre in Italia sembrano bloccate al palo?
La sugar tax, o tassa sulle bevande zuccherate, nasce con un duplice obiettivo: ridurre il consumo di zuccheri e contrastare l’obesità, in particolare tra i più giovani. In parallelo, rappresenta anche una nuova fonte di entrate fiscali per lo Stato.
Prevista inizialmente per il 2020, la sua entrata in vigore è stata rimandata più volte. L’ultima data fissata è gennaio 2026. Questo ulteriore rinvio, secondo stime ufficiali, costerà alle casse pubbliche circa 155 milioni di euro in mancate entrate tra il 2025 e il 2027.
La sugar tax italiana si applica ai produttori e agli importatori di bevande contenenti zuccheri aggiunti o edulcoranti artificiali. L’imposta, nella sua ultima formulazione, prevede:
L’aliquota iniziale era più alta, ma è stata abbassata in fase di revisione, a seguito delle forti pressioni esercitate da lobby industriali, in particolare dalle aziende del settore beverage e da organizzazioni come Confindustria.
La plastic tax è una misura ambientale nata per disincentivare l’utilizzo della plastica vergine nei prodotti monouso. L’obiettivo è favorire il riciclo, ridurre la quantità di rifiuti plastici e allineare l’Italia alle normative europee, in particolare alla Direttiva SUPD (Single‑Use Plastics Directive).
L’imposta, prevista dalla legge di bilancio 2020, consiste in un prelievo di:
Nonostante l’impostazione in linea con le direttive europee, la tassa è stata rinviata ben sette volte. L’ultima data fissata per l’attuazione è 1° luglio 2026.
La responsabilità del pagamento della plastic tax è così suddivisa:
Sono previste alcune esenzioni, ad esempio:
Le sanzioni in caso di evasione sono significative, e vanno da 2 a 5 volte l’importo evaso, con un minimo di 250 € di multa.
La risposta più diretta è: perché le lobby le bloccano. Grandi settori industriali, come quello delle bevande, del packaging e della plastica vergine, hanno esercitato una pressione costante per evitare l’entrata in vigore di queste tasse, sostenendo che:
A questa pressione si aggiunge un fattore politico: i governi, di qualunque colore, temono ricadute in termini di consenso elettorale, e preferiscono rimandare piuttosto che affrontare impopolarità momentanee.
Impatti della plastic tax:
Impatti della sugar tax:
Il rinvio di queste tasse non solo blocca gli effetti benefici, ma rende più difficile il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e dell’Agenda 2030.
Rinvio della sugar tax:
Mancata attuazione della plastic tax:
Paesi come il Regno Unito, la Francia e i Paesi Bassi hanno già introdotto da tempo eco-tasse simili, ottenendo risultati concreti:
In confronto, l’Italia sembra seguire i ritmi più lenti dell’Unione Europea, preferendo posticipare piuttosto che attuare.
Per rendere efficaci le politiche ambientali, è necessario un cambiamento strutturale che includa:
Le eco‑tasse italiane sono oggi il campo di battaglia tra interessi economici consolidati e una sostenibilità ancora fragile. I principali beneficiari dei continui rinvii sono:
A pagare, invece, sono:
Se vogliamo parlare davvero di transizione ecologica, le eco‑tasse devono diventare istituzioni permanenti, non semplici strumenti da rimandare per convenienza politica. Serve coraggio legislativo, visione a lungo termine e una governance capace di mettere ambiente, salute e giustizia fiscale al centro delle scelte pubbliche.
Fonti