Lo senti tra le mani: è un prodotto ben fatto. Non sai da dove venga, chi lo abbia pensato o toccato prima di te, ma è lì. Pronto a diventare tuo. La sua storia, però, è iniziata molto prima dite. Il Life Cycle Thinking (LCT), o “pensiero del ciclo di vita”, ci invita a guardare ogni oggetto come un percorso: dalla materia prima al consumo, fino alla fine del suo utilizzo. Ma non è solo una mappa tecnica. È un racconto. Fatto di persone, decisioni, compromessi, visioni. Ed è lì che vogliamo entrare.
Marco ha una piccola azienda agricola biologica. “Il bio lo fai per scelta, non perché è facile”, dice mentre ci mostra le sue serre. Ha scelto la sostenibilità anche se spesso significa margini ridotti, tempi più lunghi, burocrazia più complessa. “La tentazione c’è, eh. Di buttarsi su qualche pesticida meno costoso, di accorciare i tempi. A volte ho paura di non farcela. Ma poi penso: voglio essere parte del problema o della soluzione?”
È la domanda che si è posto quando ha deciso di ridurre l’impronta ambientale della sua filiera, aderendo a programmi di Life Cycle Assessment (LCA) con un ente locale. “Mi costa di più, ma so che non sto barando. E piano piano, anche i clienti iniziano a capirlo.” Alcuni tornano ogni settimana, lo ringraziano, gli raccontano come usano quei prodotti a casa. “All’inizio era fatica e basta. Ora comincio a vedere le prime soddisfazioni: le persone si fidano, tornano, passano parola. E questa fiducia è forse il guadagno più grande.”
La sua è una resistenza quotidiana. Fatta di etica, fatica e visione. E oggi, quando guarda i campi, li vede come qualcosa di più di una fonte di reddito: sono il segno tangibile che un’altra agricoltura è possibile — e, forse, anche sostenibile per chi la pratica.
Poi c’è Hamid, che lavora nei campi di un’altra filiera. “Qui la paga è a giornata, e se non stai al passo perdi il posto. ”L’aria è pesante, carica di diserbanti. “Io lo so che fa male, ma non ho scelta.”
La sua giornata inizia all’alba. Si sveglia prima del sole, raggiunge i campi con un furgone sgangherato, insieme ad altri lavoratori stagionali. Per dieci ore sotto il sole, raccoglie ortaggi, piegato, senza sosta. Gli occhi bruciano, la pelle prude. “Ci danno mascherine e guanti, ma spesso finiscono subito. E i prodotti chimici si sentono nei polmoni.”
Il caporale passa e incita a lavorare più in fretta. “Se oggi non vai bene, domani ne prendono un altro.” Il suo capo, dice Hamid, non ha mai messo piede nel campo. “Sta seduto in ufficio con l’aria condizionata. Lui guadagna su ogni cassetta piena. Noi guadagniamo poco e ci ammaliamo.”
E quando guarda i prodotti destinati agli scaffali dei supermercati, dice: “Quella roba lì ha il mio sudore sopra. Ma nessuno lo sa.” È parte di una catena invisibile, di quel lato del ciclo che non compare nelle etichette.
Claudia è una giovane professionista. Da qualche anno ha iniziato a informarsi: legge le etichette, cerca certificazioni, compra da piccoli produttori. “Mi sono resa conto che il mio potere d’acquisto è un voto quotidiano. Se compro bene, sostengo un modello sano.” Ma Claudia lo sa: è una minoranza. “Le persone, in media, guardano al prezzo. È comprensibile. Ma finché vedremo il prodotto solo come prezzo e non come processo, cambierà poco.”
I dati lo confermano. Uno studio condotto dall’Università di Wageningen ha dimostrato che la percezione dei consumatori rispetto all’impatto ambientale dei prodotti è spesso distorta: il 70% degli intervistati sottovaluta il peso reale di ciò che consuma. E anche quando conoscono i problemi, pochi modificano realmente le abitudini d’acquisto. La consapevolezza, da sola, non basta. Serve una cultura diffusa, strumenti educativi, incentivi economici.
Il Life Cycle Thinking non cerca colpevoli. Cerca comprensione. Mette insieme Marco, Hamid e Claudia, non per contrapporli, ma per costruire un sistema che tenga conto di tutti. È una visione circolare, sistemica, umana. Dove la sostenibilità non è solo una scelta, ma un’evoluzione collettiva.
E forse la domanda da porci non è solo “Chi ha fatto questo oggetto?”, ma “Quale percorso ha fatto, e a che prezzo?”. Iniziare a chiedercelo è già parte del cambiamento.
Fonti:
· UNEP, Life Cycle Initiative: https://www.lifecycleinitiative.org/
· Università di Wageningen, “Consumer Perception and LCA”: https://www.wur.nl/en/news-wur/Show/Consumers-underestimate-environmental-impact.htm