Immagina di alzarti di buon mattino in un villaggio remoto. Il sole splende, l’aria è ferma, ma al tuo interruttore non risponde niente. Nessuna luce. Nessun rumore. È successo di nuovo: un blackout. È la cruda realtà di milioni di persone che vivono in Paesi dove l’energia rinnovabile esiste, ma non arriva quando serve davvero. Lì, quella che per molti è la promessa di un domani più pulito, resta un sogno distante.
Con “elettricità a singhiozzo” intendiamo un sistema in cui l’energia non è continua né affidabile. In pratica, quando c’è sole il solare produce, quando c’è vento l’eolica gira, ma quando manca tutto ciò… il buio. In molte realtà, soprattutto nei Paesi emergenti e rurali, la rete è fragile, l’accumulo inesistente e i blackout frequenti. Anche in contesti più sviluppati, come certi quartieri urbani o piccole aree isolate, l’intermittenza delle rinnovabili diventa un lusso difficile da sostenere.
Le fonti come il solare fotovoltaico e l’energia eolica sono pulite e ormai sempre più economiche, ma dipendono da condizioni atmosferiche che non si possono controllare. Per garantire continuità, servono sistemi di immagazzinamento dell’energia, reti elettriche smart e interconnesse, e una pianificazione robusta. In Europa, ad esempio, molte reti sono obsolete: si stima che tra il 40% e il 55% delle linee a bassa tensione supereranno i 40 anni entro il 2030. Senza investimenti massicci in infrastrutture, l’energia prodotta può restare bloccata e inutilizzata.
Ci sono tecnologie che coprono bisogni diversi. Quelle di prima generazione includono l’idroelettrico, la geotermia, la combustione di biomasse. Sono consolidate e affidabili. La seconda generazione, come solare, eolico, bioenergia moderna, stanno crescendo rapidamente. Le innovazioni future includono tecnologie come il solare termodinamico concentrato, l'energia delle maree o delle onde. Che cosa manca? Stabilità e capacità di accumulo per garantire elettricità anche quando il vento tace o il sole tramonta.
La variabilità delle rinnovabili richiede strutture per immagazzinare l’energia in eccesso prodotta durante le ore di sole o vento. In Italia, Terna ha aumentato la capacità da 5,9 GW a 9,7 GW nel 2024, ma l’obiettivo è arrivare a 22,5 GW entro il 2030. Tuttavia, resta il problema della pianificazione: in Europa servono investimenti per oltre mille miliardi di euro tra reti di distribuzione e trasmissione per garantire una rete intelligente e stabile.
Secondo l’IEA, attualmente oltre un terzo dell’elettricità globale viene da fonti rinnovabili. Nel solo 2023 il solare ha generato 3.934 TWh, con una crescita superiore a quella dell’eolico. Solare ed eolico da soli coprono oggi circa il 13,4% del mix globale, contro il 0,2% di inizio millennio. In Europa e Cina, l’espansione è stata enorme: la Cina da sola ha installato oltre il 50% della nuova capacità nel 2023.
In molti Paesi in via di sviluppo, le barriere sono economiche, infrastrutturali e normative. Senza politiche pubbliche, incentivi e sostegno alle comunità locali, si resta fermi. In Africa, per esempio, tassi di accesso all’elettricità sono ancora bassi. La stessa IEA riconosce che se i ritmi attuali restano invariati, le rinnovabili del 2030 saranno il 75% di quanto serve per rispettare gli impegni COP28.
Certamente. Serve soprattutto un mix di tecnologie: fonti rinnovabili affiancate a sistemi di accumulo (batterie, idrogeno, stoccaggio) e capacità programmabili chiamate “dispatchable”, come alcune forme di bioenergia o piccoli impianti a gas in standby. Un recente studio italiano ha calcolato che, utilizzando 40 anni di dati meteorologici per progettare i sistemi solari ed eolici, si riducono quasi del tutto i blackout. Ma con soli 15 anni di dati robusti e un 5% di capacity guarantee a gas, si ottiene quasi lo stesso risultato con costi inferiori.
Pensa a una famiglia rurale con pannelli solari. All’improvviso passa una nuvola. Il pannello non produce più. Senza batterie, la luce saltata interrompe il frigorifero, l’accesso all’acqua, il piccolo motore di irrigazione. Ancora, la mancanza di rete intelligente non consente di sfruttare accumuli collettivi o scambi tra abitazioni. Aggiungi stagioni diverse: l’inverno in pianura potrebbe avere poche ore di sole e molta nebbia, riducendo la resa.
Ci sono fonti come la geotermia, l’idroelettrico tradizionale e i piccoli impianti, le biomasse sostenibili e l’idrogeno verde. Ogni fonte ha caratteristiche diverse: la geotermia è costante ma regionale; l’idroelettrico è programmabile ma dipende dall’acqua disponibile; l’idrogeno serve a accumulare energia per lunghi periodi. Combinare queste con il solare e l’eolico è la strategia più efficace per garantire affidabilità.
L’IEA stima investimenti globali nelle rinnovabili superiori a 4.000 miliardi di dollari entro il 2030. Solo per le reti, l’UE prevede 730 miliardi per la distribuzione e altri 477 per la trasmissione entro il 2040. Non sono cifre astronomiche: una parte può essere recuperata con risparmi in bolletta e posti di lavoro. Le rinnovabili sono, infatti, un volano per l’occupazione e sviluppo locale, stimolano le comunità energetiche e riducono la dipendenza dai mercati geopolitici.
Su Abouthat abbiamo già raccontato l’energia rinnovabile da molte angolazioni: la sua portata tecnica, l’impatto culturale, le promesse per il futuro. Ma oggi ci siamo spinti oltre la superficie brillante dei pannelli solari e delle turbine eoliche, esplorando un lato meno visibile: quello delle disuguaglianze nell’accesso, della fragilità delle reti, della distanza tra potenziale e realtà.
E allora la domanda diventa: come possiamo, concretamente, trasformare questa transizione da ideale a reale?
Il cambiamento parte anche da gesti quotidiani, ma consapevoli. Scegliere un fornitore di energia rinnovabile con sistemi di accumulo, ad esempio, non è solo una preferenza ecologica: è un atto di partecipazione alla stabilità della rete. Entrare in una comunità energetica locale, laddove possibile, significa generare energia insieme, ridistribuire i benefici e costruire legami sociali oltre quelli elettrici.
Ma soprattutto, sostenere politiche pubbliche che investano nella rete, nell’innovazione e nell’inclusione è forse il passo più potente che possiamo fare. Perché l’energia pulita non basta se resta privilegio di pochi. Serve una visione che allarghi il campo, che dia priorità non solo alla produzione ma alla giustizia energetica.
Solo allora potremo davvero parlare di energia rinnovabile come di un diritto, e non di un lusso. Solo allora la transizione sarà una casa comune, non un treno che lascia indietro i più fragili. E ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire a cambiare rotta.
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