La gestione delle acque reflue è una delle sfide più importanti per la sostenibilità. Non riguarda solo l’ingegneria idraulica o la gestione dei servizi pubblici, ma la salute degli ecosistemi, la qualità della vita delle persone e il rispetto delle norme europee. Nel 2025, l’Italia si trova ancora in ritardo: milioni di cittadini non sono serviti da sistemi di depurazione adeguati e le multe dell’Unione Europea pesano sulle casse pubbliche.
Per comprendere l’urgenza del problema, è necessario entrare nel merito dei processi che trasformano un refluo inquinante in acqua restituita all’ambiente in condizioni di sicurezza.
Le acque reflue urbane comprendono gli scarichi domestici (bagni, cucine, lavanderie), quelli industriali e, in parte, le acque meteoriche di dilavamento urbano. Contengono sostanze organiche, nutrienti come azoto e fosforo, detergenti, microplastiche, farmaci e microrganismi patogeni.
Se scaricate senza trattamento, queste acque innescano diversi problemi: eutrofizzazione di fiumi e laghi, contaminazione microbiologica delle coste, perdita di biodiversità e rischi per la salute umana. La depurazione serve a rimuovere o ridurre questi carichi inquinanti attraverso processi fisici, chimici e biologici.
Un impianto di trattamento delle acque reflue è una sequenza di processi progettati per ridurre gradualmente la concentrazione di inquinanti.
Al termine, l’acqua depurata può essere rilasciata nei corpi idrici superficiali o, sempre più spesso, riutilizzata in agricoltura.
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, l’Italia è ancora lontana dal pieno adeguamento agli standard europei. Circa 3,5 milioni di abitanti equivalenti non sono serviti da alcun sistema di depurazione adeguato. E oltre 26,8 milioni di abitanti equivalenti scaricano in impianti non conformi alla direttiva comunitaria.
Sono 855 gli agglomerati urbani italiani in infrazione. Le conseguenze sono pesanti: oltre 210 milioni di euro già pagati in multe e, dal marzo 2025, una nuova condanna che impone 10 milioni subito e 13,7 milioni ogni sei mesi finché non saranno risolte le criticità.
Il problema riguarda soprattutto aree costiere e regioni meridionali, dove la frammentazione amministrativa e i ritardi infrastrutturali hanno rallentato gli interventi.
Le cause sono molteplici. In primo luogo, vetustà degli impianti: molti risalgono agli anni Settanta-Ottanta e non sono mai stati adeguati alle nuove normative. A questo si somma la frammentazione gestionale, con centinaia di enti locali che gestiscono il servizio idrico in modo disomogeneo.
C’è anche un aspetto tecnico: realizzare o potenziare un depuratore richiede tempi lunghi di progettazione, valutazioni di impatto ambientale, appalti e lavori. E spesso i fondi europei vengono utilizzati con ritardi o inefficienze.
Infine, il tema della depurazione rimane sottovalutato nell’opinione pubblica. È meno visibile rispetto alle energie rinnovabili o alla mobilità sostenibile, nonostante il suo impatto ambientale e sanitario sia altrettanto cruciale.
L’assenza di un trattamento adeguato comporta fenomeni scientificamente ben documentati:
A ciò si aggiungono le conseguenze economiche: dal calo della qualità del turismo balneare al costo delle multe europee, che gravano sui cittadini.
La Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane è stata aggiornata, rafforzando gli obblighi dei Paesi membri. I nuovi obiettivi prevedono:
Per l’Italia, adeguare i grandi impianti comporterà un investimento stimato tra 645 milioni e 1,5 miliardi di euro.
La ricerca offre già soluzioni promettenti:
Integrare queste soluzioni in una strategia nazionale significherebbe trasformare un problema in opportunità di economia circolare.
La depurazione delle acque reflue non è una questione secondaria. È un banco di prova per la sostenibilità, che mette insieme scienza, tecnologia, salute pubblica ed equità sociale. Continuare a trascurarla significa perpetuare un danno ecologico ed economico.
Gli investimenti previsti dall’Unione Europea e dalla nuova Direttiva possono rappresentare un’occasione unica per innovare gli impianti, ridurre il divario infrastrutturale e portare l’Italia a livelli di eccellenza. Perché proteggere l’acqua significa proteggere la vita.
Fonti