Ogni volta che mandiamo un’email, guardiamo un video in streaming o salviamo una foto nel cloud, stiamo usando senza saperlo un data center. Dietro la nostra vita digitale, infatti, c’è una gigantesca rete di edifici pieni di server che custodiscono, elaborano e trasmettono dati in tutto il mondo. Ma cosa si intende per data center, come funzionano davvero, quanti sono i data center in Italia e soprattutto come possono diventare più sostenibili?
Partiamo dalle basi. Un data center è una struttura fisica che ospita migliaia di server collegati in rete. Questi server lavorano 24 ore su 24, gestendo enormi quantità di informazioni. Senza data center non esisterebbero cloud storage, servizi di streaming, social network, e-commerce o intelligenza artificiale.
I dati crescono a ritmi impressionanti: secondo Statista, entro il 2025 il traffico dati mondiale supererà i 180 zettabyte. Significa che i data center continueranno a moltiplicarsi. Solo in Italia se ne contano oggi circa 120 di grandi dimensioni, secondo il censimento di Data Center Map aggiornato al 2024. A questi si aggiungono migliaia di micro centri dati distribuiti sul territorio, soprattutto presso aziende e enti pubblici.
Parlare di data center significa parlare di infrastrutture digitali critiche per l’economia globale. Un data center non è un semplice “magazzino di computer”. È un sistema complesso, progettato per garantire continuità operativa, sicurezza dei dati e stabilità della connessione anche in caso di guasti o picchi di traffico. Per fare questo serve energia. Molta energia.
Il consumo di elettricità dei data center rappresenta oggi circa il 2% dell’intero fabbisogno mondiale di energia elettrica, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia. Alcuni studi stimano che, senza interventi, questa quota potrebbe salire al 10% entro il 2030. Una cifra enorme che spiega perché l’innovazione per renderli più efficienti sia diventata una priorità.
Rispondere a quanto guadagna un data center non è semplice perché dipende dal modello di business. Un data center non vende un prodotto fisico, ma spazio, potenza di calcolo e servizi di archiviazione a clienti di ogni tipo: banche, enti pubblici, aziende tech, piattaforme di streaming, e-commerce.
Il giro d’affari mondiale del settore data center supera i 300 miliardi di dollari all’anno, con tassi di crescita a doppia cifra. Colossi come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud generano profitti miliardari grazie ai servizi cloud, che poggiano su migliaia di data center sparsi in ogni continente. Il fatturato di un singolo data center dipende dalle dimensioni, dal numero di clienti, dall’efficienza operativa e dai servizi a valore aggiunto.
In Italia, l’apertura di nuovi data center da parte di big player internazionali porta investimenti enormi sul territorio. Secondo un report di CBRE, un data center hyperscale può generare ricavi annui tra 10 e 50 milioni di euro, ma l’indotto è ancora più interessante: posti di lavoro specializzati, sviluppo di infrastrutture digitali, innovazione per le comunità locali.
Fin qui abbiamo capito perché i data center sono indispensabili e quanto valgono per l’economia digitale. Ma cosa succede sul fronte sostenibilità? La domanda non è banale: server accesi 24 ore su 24, climatizzazione costante per evitare surriscaldamenti, consumi elettrici elevatissimi. I data center rischiano di diventare una delle voci più pesanti nelle emissioni di CO₂ se non si interviene in fretta.
Le soluzioni però ci sono e molte sono già realtà. La sfida principale è il raffreddamento: i server generano calore continuo, e tenerli a una temperatura stabile è essenziale per evitare interruzioni di servizio. Fino a pochi anni fa, il raffreddamento si faceva quasi esclusivamente con sistemi ad aria condizionata tradizionali, energivori e poco efficienti.
Oggi molti operatori stanno sperimentando tecniche innovative come il raffreddamento a liquido o ad acqua di mare. Google, ad esempio, in Finlandia utilizza l’acqua fredda del Mar Baltico per raffreddare i propri server, risparmiando milioni di kilowattora. Microsoft ha testato data center sottomarini: immergendo i server a decine di metri sotto la superficie, si sfrutta la temperatura naturale dell’acqua per dissipare il calore. L’esperimento, battezzato Project Natick, ha dimostrato che un data center subacqueo può essere più efficiente e meno soggetto a guasti rispetto a quelli tradizionali.
Un altro fronte innovativo è l’alimentazione da energie rinnovabili. Sempre più aziende vincolano i propri data center a forniture da fonti eoliche o solari, spesso combinate con batterie di accumulo per garantire continuità. Amazon e Google hanno già raggiunto una quota di energia rinnovabile superiore al 90% per i propri data center europei, puntando al 100% entro il 2030.
C’è poi un aspetto ancora poco noto ma in forte sviluppo: il recupero del calore prodotto dai server. Nei Paesi del Nord Europa, diversi data center stanno diventando veri fornitori di calore per interi quartieri residenziali. In Danimarca, per esempio, il calore di scarto viene immesso nelle reti di teleriscaldamento urbano, riducendo la necessità di bruciare combustibili fossili per riscaldare le case.
Questa idea di “data center come caldaia urbana” sta iniziando a diffondersi anche in Italia. A Milano è stato avviato un progetto pilota che collega un grande data center con un complesso residenziale, riutilizzando l’energia termica prodotta dai server per riscaldare acqua e ambienti.
L’innovazione non riguarda solo le infrastrutture fisiche ma anche la gestione smart. L’intelligenza artificiale sta entrando nei data center per ottimizzare consumi e flussi di lavoro. Sistemi di monitoraggio predittivo controllano temperatura, umidità, traffico dati e individuano in tempo reale anomalie che potrebbero causare sprechi o interruzioni di servizio. Questo approccio “self-healing” promette di ridurre i consumi energetici fino al 30%.
Anche la geografia conta. Costruire data center in zone fredde o con abbondanza di energie rinnovabili è ormai prassi. L’Islanda ospita diversi data center alimentati esclusivamente da energia geotermica. La Svezia e la Norvegia attraggono investimenti grazie alla disponibilità di energia idroelettrica a basso costo e a una temperatura ambiente favorevole.
Se oggi i data center sono i cuori pulsanti della vita digitale, nel futuro saranno anche un banco di prova per la transizione energetica. Gli investimenti in innovazione, intelligenza artificiale e recupero energetico possono trasformarli da “mostri energivori” a nodi intelligenti che alimentano anche le comunità circostanti.
Il tema è cruciale anche in Italia, che negli ultimi anni è diventata una destinazione interessante per i big player globali grazie a connessioni in fibra ad altissima velocità, costi energetici competitivi e incentivi per chi investe in soluzioni green.
L’obiettivo per tutti è lo stesso: garantire connettività e servizi digitali senza compromettere la sostenibilità ambientale. E le buone pratiche, finalmente, non mancano.
Fonti: