Cosa c’entrano patate e batteri con il futuro dell’energia?

Giulia Tripaldi
September 3, 2025
5 min read

Come può una patata diventare una batteria?

Immagina di avere davanti una patata. La guardi e pensi a un purè o a una frittura croccante. Ma quella stessa patata, se collegata con due pezzetti di metallo e un filo, può diventare una piccola batteria naturale. Lo stesso vale per un limone, un’arancia o altri ortaggi ricchi di sali e acidi.

Il principio è sorprendentemente semplice: lo zinco e il rame, immersi nel succo della patata o del limone, reagiscono grazie alla presenza di acidi organici e sali minerali che funzionano come elettroliti. Lo zinco rilascia elettroni, il rame li riceve, e nel mezzo scorre una minuscola corrente elettrica. Non abbastanza per alimentare un computer, ma sufficiente ad accendere un piccolo LED o a far suonare un buzzer.

Questa scoperta ha sempre affascinato perché mostra che l’energia non è soltanto una questione di centrali e cavi: può nascere dal contatto tra metalli e sostanze naturali. È scienza “povera”, ma incredibilmente efficace per spiegare concetti complessi.

Perché la natura che produce elettricità ci incuriosisce così tanto?

La magia della patata che accende una lampadina non è solo un gioco da laboratorio scolastico. È anche un simbolo. Significa che la natura possiede già in sé i principi per generare energia in modo pulito e sostenibile.

Non servono materiali rari, non servono processi industriali pesanti: basta sfruttare ciò che esiste già. La lezione che arriva da questi piccoli esperimenti è chiara: se vogliamo un futuro più sostenibile, dobbiamo imparare a osservare meglio ciò che la natura fa da milioni di anni.

Che legame c’è tra queste batterie naturali e le ricerche di oggi?

La patata e il limone sono metafore, non soluzioni industriali. Oggi il concetto si è trasformato in una vera e propria disciplina scientifica: quella delle microbial fuel cells (MFC), ovvero celle a combustibile che sfruttano i microrganismi.

In una MFC i batteri degradano composti organici, come scarti agricoli, acque reflue o residui vegetali, e nel farlo liberano elettroni. Questi elettroni vengono catturati da un anodo e messi in circolo, producendo energia elettrica. Non è più solo un esperimento casalingo: si tratta di un sistema ingegnerizzato che può alimentare sensori, piccoli dispositivi e in futuro, chissà, intere reti di energia verde.

Quali batteri sono capaci di generare elettricità?

Non tutti i batteri sono uguali. Alcuni, come Shewanella oneidensis o Geobacter sulfurreducens, hanno la straordinaria capacità di trasferire elettroni all’esterno delle loro cellule. È come se possedessero minuscoli cavi naturali, chiamati nanowires, che collegano la loro attività metabolica agli elettrodi di una cella.

Questi organismi vivono in ambienti poveri di ossigeno, come i sedimenti marini o il fango, e hanno sviluppato nel tempo la capacità di “respirare” metalli. Oggi la scienza utilizza queste abilità per trasformarli in bio-generatori. Una comunità di batteri, organizzata in un biofilm, può diventare una vera e propria centrale in miniatura.

Quanto è concreta questa tecnologia?

Negli ultimi anni le MFC sono passate dai laboratori agli scenari applicativi. Alcuni esempi aiutano a capire quanto la ricerca sia avanzata:

Nei laboratori dell’Università di Binghamton, negli Stati Uniti, sono state sviluppate bio-batterie delle dimensioni di una moneta, in grado di resistere anche un secolo senza degradarsi. Attivate dall’umidità, possono alimentare piccoli dispositivi come un sensore o un termometro digitale.

Alla UC Santa Cruz, in California, i ricercatori hanno portato le MFC direttamente nei campi agricoli, usando il suolo stesso come serbatoio di energia per alimentare sensori che monitorano l’umidità o la fertilità del terreno. È una sorta di “Internet of Things” alimentato dalla terra.

E non è finita: l’intelligenza artificiale viene oggi utilizzata per prevedere la produzione energetica delle celle batteriche. Grazie a modelli di machine learning, i ricercatori sono riusciti a raddoppiare l’efficienza operativa dei sistemi, ottimizzando il modo in cui vengono utilizzati.

Come si potenziano le bio-batterie?

Uno dei limiti principali delle MFC è la bassa potenza rispetto alle batterie tradizionali. Per questo i ricercatori stanno lavorando su strategie innovative. Alcuni hanno rivestito i batteri con sottili film di materiali conduttivi, migliorando il trasferimento di elettroni. Altri studiano i nanowire batterici come veri e propri cavi biologici da ottimizzare.

L’obiettivo non è sostituire completamente le batterie al litio, ma creare sistemi complementari: fonti di energia locali, rinnovabili, capaci di funzionare in ambienti dove le tecnologie convenzionali non arrivano.

Perché queste ricerche sono importanti per la sostenibilità?

Le bio-batterie hanno una caratteristica unica: non producono scorie tossiche, anzi, possono trasformare rifiuti organici in energia. Questo le rende perfette per un modello di economia circolare, in cui ogni scarto diventa una risorsa.

Pensiamo al trattamento delle acque reflue: invece di consumare energia per depurarle, si potrebbero utilizzare MFC capaci di depurare e produrre elettricità nello stesso processo. Oppure ai sensori ambientali: piccoli dispositivi che funzionano in zone remote senza bisogno di batterie da sostituire.

Cosa possiamo imparare guardando indietro?

Quando Alessandro Volta costruì la sua pila nel 1800, aprì la strada all’elettrochimica moderna. Ma se torniamo ancora più indietro, agli esperimenti con patate, limoni e forse persino alla “pila di Baghdad” (un manufatto risalente a circa duemila anni fa che qualcuno ha ipotizzato potesse avere funzione elettrochimica), vediamo che l’idea di produrre energia dalla natura ha radici lontane.

Oggi quelle intuizioni diventano innovazione sostenibile. Dal banco di scuola al laboratorio di bioingegneria, il messaggio è lo stesso: la natura ha già dentro di sé i principi di un’energia pulita, sta a noi saperli coltivare e amplificare.

Cosa c’entrano davvero patate e batteri con il futuro dell’energia?

C’entrano perché raccontano un filo rosso che unisce il passato al futuro. Una patata collegata a due metalli ci ricorda che l’energia può nascere dalle cose più semplici. Un batterio che respira metalli ci mostra che persino gli organismi invisibili possono diventare alleati preziosi.

Il futuro dell’energia non sarà fatto di un’unica tecnologia miracolosa, ma di tante soluzioni che lavorano insieme. Le bio-batterie sono tra queste: piccoli sistemi che trasformano la vita stessa in elettricità.

Dalle patate che illuminano una lampadina, ai batteri che alimentano sensori nel terreno, la strada è ancora lunga, ma la direzione è chiara. La scienza, la natura e la sostenibilità stanno imparando a parlare la stessa lingua. E noi siamo solo all’inizio della conversazione.

Giulia Tripaldi
September 3, 2025
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