Troppa sostenibilità? Quando il green diventa pesante

Giulia Tripaldi
May 29, 2025
5 min read

Sostenibilità, ambiente, zero waste, carbon footprint: parole che, fino a pochi anni fa, sembravano riservate a esperti e attivisti. Oggi sono ovunque: sulle bottiglie d’acqua, nei post sponsorizzati degli influencer, nei comunicati delle aziende, persino sulle etichette dei detersivi. E se da un lato è una buona notizia che si parli (finalmente) di questi temi, dall’altro sorge una domanda fastidiosa ma necessaria: parlarne troppo e male rischia di allontanarci dalla sostenibilità stessa?

Il rischio della sostenibilità “di facciata”

La narrazione della sostenibilità è diventata così pervasiva da aver quasi smarrito il suo impatto. Un bombardamento quotidiano fatto di slogan, pubblicità “green”, iniziative aziendali e messaggi allarmistici, a volte poco coordinati e spesso contraddittori. Il risultato? Invece di ispirare un cambiamento reale, rischia di generare confusione, apatia o addirittura fastidio.

Non è raro sentir dire: “Tanto non cambia niente” oppure “È tutto greenwashing”. E c’è del vero. Quando tutto viene etichettato come “sostenibile” — anche ciò che non lo è affatto — le persone iniziano a diffidare. Peggio: si disinnamorano dell’idea di fare la loro parte. Non per ignoranza o egoismo, ma per saturazione e senso di colpa.

Green guilt: il senso di colpa che allontana

Uno dei sentimenti più subdoli legati alla comunicazione ambientale è il cosiddetto green guilt, ovvero la sensazione di essere sempre in difetto rispetto agli standard di comportamento “giusti”. Non fai abbastanza raccolta differenziata? Usi ancora l’auto? Hai comprato quel vestito fast fashion?

Il bombardamento moraleggiante, specie sui social, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Chi non si sente “abbastanza sostenibile” spesso si tira fuori dal discorso. La sostenibilità, da stimolo, diventa peso. E quando un messaggio ci fa sentire inadeguati invece che coinvolti, il rischio è quello di spegnere l’attenzione.

Cosa succede quando tutto è “eco”: il rischio di banalizzare la sostenibilità

Un problema crescente nella comunicazione ambientale è la sua banalizzazione. Non perché il tema non sia importante — lo è, eccome — ma perché viene trattato in modo superficiale, contraddittorio o addirittura manipolatorio. Succede quando un prodotto in plastica è venduto come “eco” solo per il colore dell’etichetta. Quando una compagnia aerea pubblicizza voli “a basse emissioni” solo perché ha acquistato crediti di carbonio, senza ridurre davvero l’impatto dei suoi voli. O quando una catena fast fashion lancia la sua “collezione conscious” prodotta con il 5% di cotone riciclato, mentre continua a sfornare milioni di capi ogni mese.

In questi casi, la parola “sostenibilità” si svuota, perde credibilità e diventa sinonimo di marketing. Il danno non è solo semantico: è culturale. Quando il pubblico si accorge di queste incongruenze, la fiducia crolla. E con essa, anche la motivazione a cambiare abitudini.

Chi si sente preso in giro da messaggi “green” che suonano falsi o contraddittori, tende ad allontanarsi. Non si fida più né del messaggio né del mittente. Il rischio più grave? Che si arrivi a diffidare della sostenibilità stessa, confondendola con l’ennesima strategia commerciale. Ed è qui che il greenwashing diventa un problema sistemico: non solo indebolisce l’impegno autentico, ma danneggia chi lavora seriamente per un cambiamento reale.

Per questo oggi più che mai serve trasparenza, coerenza e rigore. La sostenibilità non può essere solo un’etichetta appiccicata sopra ai problemi: deve essere una trasformazione profonda, che parte dai fatti — e non solo dalle parole.

Comunicare la sostenibilità senza stancare le persone

Allora cosa facciamo? Smettiamo di parlare di sostenibilità? Assolutamente no. È fondamentale parlarne. Ma dobbiamo farlo meglio.

Serve una comunicazione onesta, concreta, comprensibile, che non imponga ma coinvolga. Che parta da ciò che è davvero possibile nel quotidiano, evitando di estremizzare. Nessuno può vivere a impatto zero, e raccontare la sostenibilità come una questione di perfezione personale è un errore.

Molto meglio valorizzare i progressi, per quanto piccoli, e spiegare i problemi in modo accessibile, senza retorica o sensazionalismi. Usare esempi vicini alla vita reale. Riconoscere le contraddizioni, senza far finta che non esistano.

Un buon esempio è quello delle campagne pubbliche che promuovono l’uso del trasporto pubblico durante i picchi di inquinamento, senza colpevolizzare, ma spiegando l’impatto positivo delle scelte collettive. O i contenuti che mostrano cosa cambia davvero nel passare da bottiglie di plastica a borracce, da prodotti usa-e-getta a riutilizzabili, con dati concreti e non solo emozioni.

Perché dobbiamo continuare a parlare di sostenibilità (ma farlo bene)

In un mondo affaticato da notizie allarmanti, crisi ambientali e slogan ridondanti, può sembrare comodo smettere di parlare di sostenibilità. Ma sarebbe un errore colossale. La crisi climatica è reale, tangibile e già in atto. Non abbiamo il privilegio dell’indifferenza. Ma proprio per questo, è fondamentale rivedere il modo in cui comunichiamo questi temi.

Non servono più “campagne shock” o toni apocalittici usati come leva per scuotere le coscienze. Quella fase l’abbiamo già superata (o almeno, dovremmo averla superata). Oggi serve una comunicazione più intelligente, empatica, coinvolgente. Una narrazione che non imponga, ma accompagni. Che spieghi senza colpevolizzare. Che dica la verità, anche quando è scomoda, ma in modo che le persone possano agire, e non solo sentirsi sopraffatte.

Comunicare la sostenibilità è cruciale non solo per informare il singolo consumatore, ma per costruire cultura, orientare decisioni politiche, stimolare l’innovazione aziendale. Ma per funzionare, questa comunicazione deve essere accessibile, non elitista. E deve uscire dalla logica binaria del “buono vs cattivo”, del “sei sostenibile o sei complice”. La realtà è più sfumata, fatta di tentativi, errori, contraddizioni.

Se vogliamo che la sostenibilità diventi davvero parte della quotidianità, dobbiamo includere, non escludere. Offrire strumenti, non giudizi. Raccontare possibilità, non solo problemi.

Parlarne sì, ma con intelligenza e umanità. Solo così possiamo trasformare l’eco-frustrazione in eco-consapevolezza. E renderla davvero contagiosa.

Fonti

Giulia Tripaldi
May 29, 2025
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