Tra le colline del Borneo, un team di ricercatori si arrampica tra le radici intrecciate degli alberi tropicali. Stanno monitorando la presenza dell’orango, simbolo di un habitat che si sta riducendo. A migliaia di chilometri, un drone sorvola un campo di colza in Germania, registrando il passaggio di api. Intanto, nelle profondità dell’oceano, si trapiantano coralli come si farebbe con ortaggi in un giardino. Sono tutte scene diverse, ma unite da un filo comune: la difesa della biodiversità.
In un mondo in crisi climatica, si parla sempre più spesso di sostenibilità, ma meno di ciò che la rende possibile: un equilibrio complesso tra le specie, un sistema in cui ogni elemento ha un ruolo. La biodiversità è il tessuto vivo che sostiene il pianeta — e noi con lui.
Non si tratta solo di salvare animali iconici o piante rare: la diversità biologica garantisce la stabilità degli ecosistemi. Senza predatori, gli erbivori devastano i pascoli. Senza insetti impollinatori, le colture crollano. Ogni specie persa è un tassello tolto a un equilibrio millenario. E il danno, spesso, si ripercuote anche sull’essere umano.
La scienza della sostenibilità lo conferma: ecosistemi più ricchi in specie sono più resilienti ai cambiamenti, alle malattie, alle catastrofi naturali. Studi pubblicati su riviste come Nature e Science dimostrano che una maggiore diversità genetica e biologica è correlata a una maggiore produttività agricola, alla purificazione delle acque e alla stabilità climatica.
Eppure, ogni anno scompaiono migliaia di specie, spesso senza che nessuno se ne accorga. Alcune spariscono prima ancora di essere state catalogate. La loro perdita significa anche perdere potenziali cure mediche, cibi del futuro, scoperte ecologiche.
Sul fronte genetico, una delle strategie chiave è la conservazione ex situ, ovvero al di fuori degli habitat naturali. Tra le iniziative più emblematiche c’è il Global Seed Vault nelle isole Svalbard, una sorta di "arca di Noè" vegetale che conserva oltre un milione di varietà di semi provenienti da tutto il mondo. Questo deposito, progettato per resistere a guerre, disastri naturali e crisi globali, tutela la diversità genetica delle piante agricole, fondamentale per la sicurezza alimentare del futuro.
Parallelamente, la crioconservazione permette di congelare materiale genetico — come semi, embrioni o cellule — in azoto liquido, per poterlo riutilizzare nel tempo. Tecniche simili vengono impiegate anche per specie animali a rischio di estinzione, attraverso il lavoro di istituti zoologici e centri di ricerca genetica.
Nel mondo vegetale e agricolo, la scienza lavora alla resilienza genetica, ovvero allo sviluppo di varietà coltivabili più resistenti agli stress climatici, come la siccità o l’aumento delle temperature. Centri come il CIMMYT (International Maize and Wheat Improvement Center) sperimentano incroci e innovazioni genetiche per migliorare le colture in chiave sostenibile, riducendo l’uso di fertilizzanti e pesticidi.
Per quanto riguarda gli impollinatori— soprattutto le api, fondamentali per l’ecosistema — esistono programmi di restauro ecologico urbano che mirano a ricostruire habitat anche all’interno delle città. Tra questi: corridoi fioriti lungo le strade, giardini verticali e tetti verdi, in grado di ospitare fiori e insetti utili. Queste soluzioni trasformano l’ambiente urbano in un ecosistema più accogliente e funzionale alla biodiversità.
Anche l’agricoltura si evolve grazie alla scienza. L’approccio dell’agro biodiversità promuove l’uso di varietà locali e colture tradizionali, meno sensibili alle malattie e più adatte ai terreni locali, riducendo così la dipendenza da input chimici. Un esempio concreto è l’agricoltura rigenerativa, supportata da enti come il Rodale Institute, che punta su rotazioni colturali, compostaggio e coperture vegetali per rigenerare il suolo, trattenere carbonio e migliorare la salute degli ecosistemi agricoli.
Infine, negli oceani, si lavora per invertire il declino delle barriere coralline, che ospitano oltre il 25% della vita marina. Il Reef Restoration and Adaptation Program in Australia, ad esempio, applica tecniche di trapianto assistito, coltivazione di coralli resistenti al calore, e tecnologie per raffreddare localmente le acque, cercando di proteggere questi ecosistemi fragili dal riscaldamento globale.
Spesso, proteggere una sola specie vuol dire proteggere un intero ecosistema. I grandi predatori, ad esempio, sono considerati specie chiave: la loro presenza regola le popolazioni delle prede e preserva l’equilibrio della catena alimentare. Reintrodurre i lupi in alcune aree degli Stati Uniti ha permesso la rinascita dei fiumi, grazie al controllo degli ungulati che devastavano la vegetazione. Una dimostrazione evidente di come la natura sia un sistema interconnesso.
Alcuni paesi stanno già adottando politiche per integrare la tutela della biodiversità nelle pratiche quotidiane. In Francia, per esempio, è stata vietata l’uso di pesticidi nei centri urbani. In Germania, invece, la presenza di etichette più trasparenti sugli alimenti ha aumentato la consapevolezza dei consumatori, contribuendo anche a un alto tasso di vegetariani e alla tutela del benessere animale.
Un errore diffuso è continuare a considerare la natura solo in termini di utilità per l’uomo. Certo, le specie ci offrono cibo, ossigeno, cure mediche. Ma esistono anche valori ecologici e morali: la vita di una specie non dovrebbe valere solo per quanto ci serve, ma per il suo ruolo in un equilibrio che ci ha preceduto.
In un’epoca in cui si costruiscono api robotiche per sopperire alla sparizione degli impollinatori, non dovremmo chiederci solo “cosa possiamo fare”, ma “perché siamo arrivati a questo punto”. E capire che preservare la biodiversità non è un atto altruista: è sopravvivenza intelligente.
Fonti:
IPBES – Global Assessment Report on Biodiversity