
Ogni anno, lungo le coste italiane, l’allevamento e la lavorazione dei molluschi producono migliaia di tonnellate di gusci. Un materiale apparentemente innocuo, naturale, ma che nella pratica diventa un rifiuto difficile da gestire, costoso da smaltire e spesso destinato alla discarica. Allo stesso tempo, il settore delle costruzioni continua a dipendere dal cemento tradizionale, uno dei materiali più utilizzati al mondo ma anche tra i più impattanti dal punto di vista ambientale. È proprio in questo spazio di contraddizioni che nasce una delle sperimentazioni più interessanti della scienza dei materiali sostenibili: trasformare i gusci di cozze in una risorsa per l’edilizia.
Questa idea non è uno slogan né un esperimento da laboratorio isolato, ma il cuore di un progetto di ricerca concreto e italiano, che unisce economia circolare, chimica dei materiali e ingegneria ambientale. Il suo nome è GreenLife4Seas, e racconta molto bene il senso di una scienza che non si limita a osservare i problemi, ma prova a risolverli.
GreenLife4Seas è un progetto di ricerca applicata che coinvolge università, enti di ricerca e autorità portuali, con l’obiettivo di dare nuova vita a sedimenti marini e scarti della filiera ittica, in particolare ai gusci di molluschi. Tra i protagonisti scientifici c’è il Politecnico di Bari, insieme all’ISPRA, in un contesto che guarda esplicitamente alla blu economy e alla sostenibilità delle attività costiere.
L’idea di fondo è semplice solo in apparenza: se i gusci sono composti in gran parte da carbonato di calcio, perché non usarli come materia prima per nuovi materiali da costruzione, riducendo allo stesso tempo rifiuti e consumo di risorse naturali? La risposta, come spesso accade nella scienza, è “si può fare, ma serve metodo”.
Dal punto di vista chimico, i gusci di cozze sono costituiti prevalentemente da carbonato di calcio (CaCO₃), lo stesso composto che si trova nel calcare e nel marmo. È una sostanza già ampiamente utilizzata nell’industria delle costruzioni, sia come aggregato sia come componente di miscele cementizie.
La differenza sta nell’origine. Il carbonato di calcio dei gusci è il risultato di un processo biologico naturale, che avviene a temperatura ambiente e senza emissioni industriali. Utilizzarlo significa quindi sostituire, almeno in parte, materiali estratti in cava, con un sottoprodotto che esiste già e che altrimenti rappresenterebbe un costo ambientale.
Dal punto di vista scientifico, questo apre una strada interessante: non si tratta di “riciclare” in modo generico, ma di ripensare la filiera dei materiali partendo dalla loro composizione molecolare.
Il processo studiato all’interno di GreenLife4Seas non è immediato e non è improvvisato. I gusci, una volta raccolti, devono essere prima puliti per eliminare residui organici e salini, poi trattati e macinati fino a ottenere una polvere con caratteristiche granulometriche controllate.
Questa polvere può essere utilizzata come aggregato o come componente di miscele leganti alternative, in combinazione con altri materiali. La ricerca si concentra sul comportamento meccanico, sulla durabilità e sulla compatibilità chimica con i leganti, perché un materiale sostenibile deve prima di tutto essere sicuro e affidabile.
Il risultato non è un “cemento di gusci” in senso stretto, ma un materiale composito che riduce l’uso di materie prime vergini e abbassa l’impatto ambientale complessivo del prodotto finale.
Il cemento convenzionale è responsabile di circa l’8% delle emissioni globali di CO₂, principalmente a causa del processo di produzione del clinker e dell’estrazione delle materie prime. Inserire materiali alternativi, come i gusci di cozze, significa agire su più livelli.
Da un lato si riduce la quantità di materiale estratto dalle cave, dall’altro si valorizza un rifiuto che altrimenti dovrebbe essere smaltito. Questo doppio beneficio è uno dei pilastri dell’economia circolare applicata.
Inoltre, la gestione locale degli scarti della mitilicoltura riduce i trasporti e i costi logistici, con effetti positivi anche in termini di emissioni indirette. La sostenibilità, in questo caso, non è solo teorica ma misurabile lungo l’intero ciclo di vita del materiale.
Uno degli aspetti più interessanti di GreenLife4Seas è la sua vocazione applicativa. I materiali sviluppati non sono pensati per sostituire immediatamente tutto il cemento esistente, ma per essere utilizzati in contesti specifici, come infrastrutture portuali, opere costiere, massetti, elementi non strutturali e applicazioni dove la durabilità in ambiente marino è un requisito fondamentale.
Qui la scienza incontra la realtà. Le coste sono tra gli ambienti più delicati e allo stesso tempo più antropizzati, e trovare soluzioni che integrino protezione ambientale e sviluppo economico è una delle grandi sfide della sostenibilità contemporanea.
Se questa tecnologia venisse adottata su scala più ampia, l’impatto non sarebbe solo ambientale ma anche economico e sociale. Le comunità costiere potrebbero trasformare un problema di smaltimento in una risorsa, creando nuove filiere locali e competenze tecniche legate ai materiali sostenibili.
Questo significa anche rafforzare il legame tra ricerca pubblica, industria e territorio, uno degli elementi chiave per una transizione ecologica che non resti confinata nei convegni ma arrivi davvero nei cantieri.
La storia dei gusci di cozze trasformati in cemento è emblematica di un cambio di paradigma. Non si tratta solo di trovare materiali alternativi, ma di cambiare il modo in cui pensiamo ai rifiuti, alla materia e ai cicli produttivi.
La scienza sostenibile non promette soluzioni miracolose, ma propone percorsi concreti, basati su dati, sperimentazione e collaborazione. In questo senso, progetti come GreenLife4Seas mostrano come l’innovazione possa nascere anche da ciò che siamo abituati a scartare.
In un mondo che consuma risorse a un ritmo sempre più accelerato, ogni innovazione capace di ridurre sprechi e impatti ha un valore che va oltre il singolo progetto. Trasformare i gusci di cozze in materiali per l’edilizia significa ridurre emissioni, valorizzare scarti e ripensare il rapporto tra attività umane e ambiente marino.
È un esempio concreto di come la scienza sostenibile possa contribuire alla transizione ecologica non con proclami, ma con soluzioni tecniche reali, misurabili e replicabili. E forse è proprio da qui, da materiali umili e dimenticati, che passa una parte importante del futuro dell’edilizia.