La valle dello Lötschental, nelle Alpi svizzere, è rimasta sotto shock il 28 maggio 2025. In pochi minuti, milioni di tonnellate di ghiaccio, roccia e detriti si sono staccati dal versante del ghiacciaio Birch, travolgendo parte del villaggio di Blatten. È stata una frana di proporzioni eccezionali: solo grazie a un sistema di monitoraggio e a un’evacuazione preventiva si sono potute salvare circa 300 persone, come riportato da France24.
Ma cosa ha davvero causato questo disastro? E in che modo il cambiamento climatico rende sempre più frequenti eventi di questo tipo?
Il crollo del ghiacciaio Birch è il risultato di un mix pericoloso di fattori: l’aumento delle temperature, l’instabilità del permafrost e l’accumulo di detriti. Il permafrost, ovvero lo strato di roccia permanentemente congelata che tiene letteralmente insieme le montagne, si sta sciogliendo a causa del riscaldamento globale. Quando questo strato perde coesione, le pareti montane diventano fragili, e i ghiacciai — appoggiati su strutture instabili — possono crollare in modo improvviso e violento.
Nel caso di Birch, il ghiacciaio era parzialmente ricoperto da materiale roccioso proveniente dal monte Kleine Nesthorn, che ha aumentato la pressione sulle masse glaciali. I sensori avevano registrato una velocità di movimento crescente: fino a 80 cm al giorno prima del distacco finale.
Queste dinamiche sono ben descritte anche dal Dipartimento della Protezione Civile italiano, che in un documento del 2021 ha classificato queste situazioni tra i rischi emergenti in ambiente alpino, associati all’instabilità glaciale e alla fusione del permafrost.
Blatten è stata colpita duramente: il villaggio è stato in parte distrutto e una persona è tuttora dispersa. La frana ha inoltre bloccato temporaneamente il corso del fiume Lonza, creando una sorta di lago artificiale che ha innalzato il rischio di alluvioni a valle. Secondo quanto riportato da Reuters, le autorità elvetiche hanno mantenuto l’evacuazione per precauzione in diversi comuni della zona.
Ma i danni non sono solo materiali: un evento del genere scuote profondamente anche il senso di sicurezza di una comunità. Le montagne, considerate da sempre stabili e rassicuranti, stanno diventando imprevedibili. E questo ha conseguenze anche sul turismo, sull’agricoltura, sulla coesione sociale.
Secondo i dati della NASA Earth Observatory, la temperatura media nelle Alpi è cresciuta di oltre 3 °C dal 1880, un aumento ben superiore alla media globale. Questo rende i ghiacciai alpini particolarmente vulnerabili: si sciolgono più rapidamente, si assottigliano, perdono aderenza al suolo.
Lo scioglimento del permafrost, in particolare, è un fenomeno sottovalutato ma molto pericoloso. Quando quel “collante naturale” viene meno, le frane si moltiplicano. Eventi simili sono già stati registrati in Svizzera, Italia e Austria — e diventeranno sempre più frequenti.
Fortunatamente, la tragedia di Blatten non è stata una catastrofe totale grazie a un sistema di monitoraggio avanzato. Le autorità svizzere avevano installato radar, sensori e un sistema di allerta precoce che ha permesso l’evacuazione. Questo dimostra che investire in scienza e prevenzione funziona.
Ma non basta. Secondo la Protezione Civile italiana, servono anche piani condivisi tra i Paesi alpini, mappature aggiornate dei rischi, comunicazione efficace con le comunità locali e, soprattutto, una nuova cultura del rischio climatico. Le montagne non sono solo luoghi di bellezza, ma anche territori delicati, in equilibrio precario.
Il crollo del ghiacciaio Birch è un caso emblematico per la rubrica Scienza sostenibile: ci mostra come un fenomeno naturale possa diventare una crisi sociale, politica, economica. Non stiamo parlando solo di ghiaccio che si scioglie, ma di persone che perdono case, di territori che cambiano volto, di comunità che devono adattarsi.
Capire questi fenomeni richiede uno sguardo interdisciplinare: climatologia, geologia, ingegneria, ma anche antropologia e politica. E richiede il coraggio di trarre conseguenze: ridurre le emissioni non è più un'opzione, è una necessità. Anche per salvare le montagne.
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