Quando il clima diventa questione di giustizia

Giulia Tripaldi
June 10, 2025
5 min read

Nel 2022, un’intera isola del Pacifico ha dovuto iniziare a trasferire la propria popolazione a causa dell’innalzamento del livello del mare. Non si tratta di uno scenario da film apocalittico: è già successo, e continuerà a succedere. Case abbandonate, raccolti salinizzati, famiglie costrette a lasciare la propria terra, lingua, cultura.

Questa non è solo una questione ambientale. È una questione di diritti umani violati, di identità cancellate, di disuguaglianze storiche che si amplificano. Perché chi oggi è costretto a migrare a causa del clima è spesso chi ha contribuito meno alla crisi, ma ne subisce gli effetti peggiori.

Quando parliamo di crisi climatica, parliamo anche – e soprattutto – di giustizia. O meglio, della sua assenza.

Che cos’è la giustizia climatica?

La giustizia climatica è un approccio che collega i cambiamenti climatici ai diritti umani, alla giustizia sociale e all’equità.
Non basta ridurre le emissioni: bisogna chiedersi chi subisce le conseguenzechi ha causato il problemachi può permettersi di adattarsi — e chi no.
Pensate a una città alluvionata: un quartiere ricco si ricostruisce in fretta, uno povero resta isolato per mesi.
Ecco perché servono più che soluzioni tecnologiche: serve ripensare il modo in cui distribuiamo risorse, potere e responsabilità.

Cosa succede se ignoriamo la giustizia climatica?

Ignorare la dimensione sociale del clima significa replicare e rafforzare le disuguaglianze esistenti.
Chi vive in zone costiere, chi lavora all’aperto, chi non ha accesso a cure mediche o trasporti sicuri sarà sempre più esposto.
Secondo l’IPCC, i danni maggiori non colpiranno chi ha causato la maggior parte delle emissioni, ma chi ha emesso meno. È un paradosso inaccettabile, che porta alla perdita di vite, di cultura, di opportunità.

Perché la crisi climatica è una questione sociale?

Non serve un uragano per vedere le disuguaglianze: basta un’estate torrida in una casa senza aria condizionata. Le persone a basso reddito, che vivono in quartieri densamente cementificati, spesso affrontano il caldo estremo senza difese. Da qui si parte.

Salendo di scala, eventi estremi come alluvioni o siccità interrompono scuole, ospedali, trasporti. A pagarne il prezzo sono le fasce più fragili: le donne che devono fare chilometri per trovare acqua, i bambini che respirano smog nelle periferie, gli anziani soli che muoiono durante le ondate di calore.

La crisi climatica non crea nuove ingiustizie, ma aggrava quelle esistenti, trasformandole in emergenze. Non è solo un problema ambientale, ma una sfida sociale, che tocca diritti, salute e dignità. Ed è per questo che deve essere affrontata come questione di giustizia.

Quali sono le risposte della giustizia climatica?

Uno degli snodi cruciali per una risposta equa alla crisi climatica riguarda il ruolo del diritto. Nel 2024, il Tribunale civile di Roma ha respinto la causa “Giudizio Universale” contro lo Stato per inazione climatica, ma ha riconosciuto che il governo ha delle responsabilità nel non aver agito a sufficienza per proteggere il clima e, con esso, i diritti fondamentali. È una svolta che apre una nuova strada: il clima entra ufficialmente nel campo dei diritti costituzionali.

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha fatto un passo storico: ha dichiarato che vivere in un ambiente sano è un diritto umano fondamentale. Questo potrebbe dare slancio a centinaia di cause in Europa e nel mondo.

Ma non basta la giustizia nei tribunali. Serve anche una transizione giusta: politiche ambientali che non penalizzino i più deboli. Chi lavora in una centrale a carbone, ad esempio, non può essere lasciato senza alternative. Servono formazione, nuovi impieghi, investimenti nei territori più colpiti, soprattutto quelli già segnati da crisi industriali o sociali.

In questo senso, la transizione ecologica deve essere anche sociale: se non riduce le disuguaglianze, le rafforza.

Infine, c’è un aspetto spesso ignorato: l’ascolto delle comunità. Troppo spesso le decisioni vengono prese in luoghi lontani dalle vite reali. Ma oggi a guidare le azioni per la giustizia climatica ci sono giovani, popolazioni indigene, attivisti locali. Dai villaggi amazzonici ai cortei di Fridays for Future, il messaggio è lo stesso: chi subisce la crisi deve avere voce nelle soluzioni.

La giustizia climatica non si impone dall’alto. Si costruisce dal basso, ascoltando storie, bisogni, lotte quotidiane. Perché il clima non è solo questione di CO₂, ma di equità, diritti, dignità.

Cosa possiamo fare (davvero)?

Capire che giustizia climatica significa scegliere da che parte stare.

Se parliamo solo di CO₂, ci dimentichiamo delle persone.
Parlare di giustizia climatica vuol dire riconoscere le disuguaglianze e trasformare il nostro modo di produrre, abitare, consumare.

Sostenere politiche climatiche basate sull’equità.

Pressione dal basso, voto informato, impegno locale: ognuno ha un ruolo.

Educare al cambiamento

Non basta essere “green”: serve essere giusti. Parlare di clima nelle scuole, nei media, nelle istituzioni in termini accessibili e profondi è la vera chiave.

La domanda non è più “il cambiamento climatico esiste?”.
La domanda vera è: a chi chiediamo di pagare il prezzo del nostro modello di sviluppo?
La giustizia climatica ci invita a cambiare prospettiva, a mettere al centro le persone, e non solo i numeri. È tempo di agire, non solo per il pianeta, ma per chi lo abita.

Giulia Tripaldi
June 10, 2025
5 min read