“Green”, “eco”, “sostenibile”. Parole potenti, quasi salvifiche, oggi onnipresenti nei discorsi di politici, amministratori e istituzioni internazionali. Ma cosa succede quando questo lessico ambientale non corrisponde ad azioni concrete? Sempre più spesso, la risposta si nasconde dietro un fenomeno insidioso: il greenwashing politico, ossia la costruzione di un’immagine ecologista che, nei fatti, serve più a consolidare consenso che a salvare il pianeta.
Il gioco è sottile, eppure diffusissimo: si lancia una campagna, si illumina un monumento di verde, si proclama una giornata nazionale per il clima. Ma poi, nei mesi successivi, tutto tace. Le emissioni restano alte, le leggi vengono scritte con ambiguità, e dietro le quinte si approvano infrastrutture o pratiche altamente inquinanti. L’impegno ambientale si riduce così a una coreografia ben confezionata, priva però di impatto reale.
Uno degli esempi più eclatanti di questa dinamica sono le numerose “giornate per il pianeta”, che abbondano nel calendario politico-mediatico. Giornata della Terra, Giornata degli Alberi, Giornata senza Auto. Eventi nati con intenti nobili, ma spesso svuotati di senso da un uso strumentale. Le istituzioni, anziché usarli come catalizzatori di azioni strutturali, li trasformano in momenti di autopromozione. Si pianta un albero davanti alle telecamere, si lancia un hashtag, e intanto si rinviano riforme cruciali su trasporti pubblici, mobilità sostenibile o decarbonizzazione.
Il problema però non è solo comunicativo. Anche sul piano legislativo, molte cosiddette leggi verdi si rivelano poco più che gusci vuoti. Spesso sono piene di deroghe, zone grigie, termini dilatati nel tempo o mancanza totale di strumenti sanzionatori. In Italia, per esempio, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) prevede obiettivi significativi per il 2030, ma lascia enormi margini d’incertezza sull’effettiva implementazione, soprattutto a livello locale.
Uno sguardo oltreconfine rende ancora più chiara la discrepanza tra retorica e realtà. In Francia, l’esecutivo ha varato una “Legge Clima e Resilienza” dal nome promettente, ma criticata da numerose ONG ambientali per la sua scarsa ambizione. Allo stesso tempo, ha sostenuto progetti infrastrutturali controversi come l’espansione dell’aeroporto Charles de Gaulle di Roissy, considerata incompatibile con gli obiettivi climatici di Parigi.
In Germania, patria dell’“Energiewende” (transizione energetica), la chiusura delle centrali nucleari è stata accompagnata da un rallentamento nelle rinnovabili e, in certi casi, dal ritorno all’uso del carbone per garantire l'approvvigionamento energetico. Un paradosso che mostra quanto anche i campioni della sostenibilità debbano fare i conti con compromessi politici e interessi economici radicati.
Tutto questo non vuol dire che le politiche ambientali siano inutili o che non esistano esempi virtuosi. Ma è necessario affinare il nostro sguardo. Capire quando il verde è reale equando è solo una tonalità utile a coprire l’inazione. Perché se la crisi climatica è concreta e urgente, non possiamo permetterci che venga gestita con slogan e cerimonie. Servono leggi robuste, trasparenti, verificabili. Servono investimenti coraggiosi e un cambio di paradigma, anche culturale, che metta l’ambiente al centro non solo della narrazione, ma delle scelte quotidiane.
Le eco politiche non sono tutte uguali. Alcune cambiano le cose, altre le mascherano. La differenza sta nei fatti, nei bilanci, nei risultati. Come cittadini, giornalisti, osservatori, è nostro compito smascherare la superficie quando non è supportata dalla sostanza. Non per puro spirito critico, ma per evitare che la più grande emergenza della nostra epoca venga derubricata a operazione di marketing. Il verde non è una moda: è un’urgenza. E va trattato con la serietà che merita.
Fonti e riferimenti